Economia
OCSE, l’immigrazione sostiene l’economia e il lavoro, ma resta il divario salariale
Redazione
 

In un’Europa spesso divisa da toni accesi e narrazioni securitarie, l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ribalta la prospettiva sul fenomeno migratorio, restituendo una fotografia concreta del suo contributo economico. Nei 38 Paesi membri, nel 2024 il tasso di disoccupazione degli immigrati è sceso sotto il 10 per cento e, nella maggior parte dei casi, la partecipazione degli immigrati alla forza lavoro ha superato quella della popolazione autoctona.
OCSE, l’immigrazione sostiene l’economia e il lavoro, ma resta il divario salariale
Un dato che racconta un’integrazione reale, fatta di lavoro e produttività, più che di emergenza e precarietà. Dopo tre anni di forte crescita, la migrazione permanente verso i Paesi OCSE è diminuita del 4 per cento nel 2024, per un totale di 6,2 milioni di nuovi arrivi. Si tratta soprattutto di persone che si ricongiungono ai familiari, lavoratori in cerca di opportunità e rifugiati in fuga da crisi umanitarie. Parallelamente, sono stati concessi circa 2,3 milioni di permessi di lavoro, con un aumento del 26 per cento rispetto al 2019, mentre le richieste d’asilo hanno raggiunto il record di 3 milioni, spinte soprattutto da Stati Uniti, Canada e Regno Unito.
Sul piano occupazionale, i numeri parlano di quasi il 77 per cento degli immigrati economicamente attivo, contro il 63 per cento della popolazione italiana, e di un 71 per cento che ha un impiego. Nell’Unione europea, il tasso di occupazione dei migranti nel 2024 è stato del 67,9 per cento, con la disoccupazione al 9,6 per cento. Anche in Italia i dati migliorano, con la disoccupazione tra gli immigrati che è scesa dell’1,3 per cento rispetto al 2023, segno che il mercato del lavoro assorbe con maggiore efficacia i nuovi lavoratori, soprattutto nei comparti manifatturieri, agricoli, logistici e dei servizi alla persona.
Ma l’inclusione economica non elimina le disparità. L’OCSE rileva che, nei primi anni di ingresso, gli immigrati guadagnano in media il 34 per cento in meno rispetto ai lavoratori locali della stessa età e dello stesso sesso. Il divario varia dal 28 per cento in Danimarca, Francia e Portogallo fino a un massimo del 45 per cento in Italia. Ma in un decennio questa distanza tende a ridursi della metà, man mano che i lavoratori stranieri accedono a settori e imprese con retribuzioni più alte e contratti più stabili.
Il commissario europeo per gli Affari interni e la migrazione, Magnus Brunner, intervenuto a Bruxelles per la presentazione del rapporto, ha detto che “abbiamo bisogno dei loro talenti, delle loro competenze e della loro energia”. Ha però aggiunto che “è fondamentale gestire i flussi in modo ordinato e ascoltare le preoccupazioni dei cittadini, per evitare che il dibattito pubblico resti ostaggio di paure e semplificazioni”.
Il rapporto OCSE indica una verità semplice ma spesso ignorata: l’immigrazione non è un costo, ma un investimento umano ed economico, se gestita con intelligenza, equità e visione di lungo periodo.