Nell'immobilità spettrale dell’Artico, dove il silenzio si veste di bianco e l’orizzonte pare un infinito sospeso, il suono diventa racconto. E lì, tra lastre di ghiaccio che si frantumano e aurore che danzano nel cielo come veli di luce, una voce diversa si leva: quella del violoncello in fibra di carbonio di Sarah Smout.
Le note del ghiaccio: viaggio musicale nell’Artico che scompare
Non è una voce come le altre. È il lamento del vento artico che vibra tra le corde tese dello strumento, è il respiro gelido della Terra che si fa musica. È, come lo ha descritto lei stessa alla BBC, "qualcosa che non avevo mai sentito prima". Sarah Smout non è soltanto una violoncellista, ma una poetessa e narratrice del cambiamento.
Insieme a un gruppo di artisti internazionali, ha trascorso sedici giorni nell’arcipelago norvegese delle Svalbard, ai confini estremi del Circolo Polare Artico, dove il paesaggio si estende ''a mozzafiato e assolutamente vasto", come ha detto lei stessa.
Lì, su una nave attrezzata per la spedizione, ha affrontato temperature di -15°C, ma il vero gelo – quello che morde l’anima – è stato vedere il cambiamento climatico srotolarsi sotto i propri occhi. "Si sono formate delle crepe sul ghiaccio, una grande piattaforma si è staccata e siamo stati riportati di corsa sulla barca, non più al sicuro su quel pezzo di ghiaccio alla deriva'', ha raccontato Smout.
La sua missione in quelle terre estreme non era solo contemplativa. Con il suo violoncello, battezzato affettuosamente Bernard, e un idrofono per le registrazioni subacquee, ha raccolto infatti una sinfonia nascosta: lo scricchiolio dei ghiacciai, il fremito sordo dell’acqua sotto la superficie, il battito del mondo sotto assedio. Questi suoni diventeranno il cuore pulsante del suo album di debutto, un’opera che intende restituire all’ascoltatore non solo la bellezza del paesaggio artico, ma la sua fragilità, la sua urgenza.
"La musica è un modo fantastico per unire le persone, parlare ai loro cuori e alle loro menti e ispirarle a prendere decisioni autonome per apportare un cambiamento positivo'', ha spiegato Smout.
Il progetto nasce dall’idea che la scienza, per quanto rigorosa, non basti da sola a scuotere le coscienze.
Serve qualcosa che parli in modo più profondo e primordiale. Qualcosa che faccia vibrare le corde dell’empatia. Per Smout, ciò che accade nell’Artico non può essere relegato a una lontananza geografica.
"Siamo testimoni del cambiamento climatico che avviene ovunque intorno a noi, ma nessuno è così drammatico e rapido come nell'Artico. Potrebbe essere lontano, ma ciò che accade lì ci riguarda tutti", ha dichiarato con fermezza. L’Artico, in questo senso, è la prima linea del collasso climatico, il luogo dove il tempo si accorcia e le previsioni diventano cronaca.
C’è in lei una vocazione quasi sacerdotale nel volere "diffondere i suoni" di quelle terre al grande pubblico. Come un’antica aeda dei ghiacci, Smout intende trasformare la materia sonora in messaggio, sperando che "gli ascoltatori possano entrare in sintonia con quanto sta accadendo in quella parte del mondo e sentirsi incoraggiati a proteggerla". Il suo violoncello, Bernard, ha già accompagnato Smout in numerose avventure naturalistiche, in compagnia di esploratrici e scienziate.
Ma l’Artico – da sempre fonte di fascino per lei – è qualcosa di diverso: un luogo che "stimola la creatività" in modo unico, come se il paesaggio stesso suggerisse i versi e le melodie. Un luogo che, per la sua bellezza spettrale e crudele, costringe a guardare dentro sé stessi.
Oggi, mentre il ghiaccio si assottiglia e le calotte si ritirano, Smout lavora a un’opera che sarà insieme elegia e grido d’allarme. Un album costruito come una geografia sonora dell’agonia artica, dove ogni suono – dalle profondità marine al fruscio della neve – sarà una testimonianza. E in un tempo in cui l’indifferenza è forse il nemico più subdolo del pianeta, l’arte può tornare ad avere un compito urgente e antico: narrare il mondo per salvarlo.