FOTO: Peter Worrell - CC BY-SA 2.0
Un tempo la seduzione non si mostrava, si intuiva. Viveva nascosta nelle pieghe di seta che nessuno doveva vedere, nei merletti celati sotto abiti monumentali, nelle stecche di balena che stringevano il corpo fino a trasformarlo in quell'ideale di bellezza che l'etichetta imponeva e il desiderio alimentava.
Regno Unito, sottovesti e corsetti in mostra alla Sewerby Hall
Era un linguaggio segreto fatto di pizzi e ricami, di corsetti e sottovesti, un universo parallelo che per cinque secoli ha plasmato la silhouette femminile rimanendo ostinatamente invisibile, confinato in quella dimensione sospesa tra intimità e potere estetico dove si consumava, ogni giorno, il delicato equilibrio tra necessità e seduzione. Oggi questo mondo emerge finalmente dalle ombre del pudore vittoriano.
Lo fa attraverso la mostra "Underwear Autumn" ospitata presso la Sewerby Hall, elegante dimora nei pressi di Bridlington (nell'East Yorkshire), che offre ai visitatori un'occasione rara, quasi voyeuristica, di esplorare l'evoluzione della biancheria intima dal Cinquecento ai giorni nostri. Un viaggio inconsueto, che svela quel fragile confine tra costrizione e libertà, tra il corpo che la società voleva domare e quello che il desiderio cercava di liberare, rivelando come l'arte del nascondere sia sempre stata, paradossalmente, il più sofisticato linguaggio del mostrare.
L'esposizione presenta una collezione straordinaria di sottovesti, corsetti e bustini che testimoniano come l'arte del nascondere sia sempre stata, paradossalmente, un sofisticato linguaggio del mostrare. Tra le creazioni più affascinanti, sottolinea la BBC, spiccano ricami neri ispirati all’estetica Tudor, con arabeschi che evocano la severa magnificenza delle corti del XVI secolo, e corsetti impreziositi dall’effigie della regina Elisabetta I, simbolo di potere femminile e controllo sul corpo come strumento politico ed estetico.
Accanto a questi, emergono con eleganza le sottovesti e le tasche amovibili tipiche dell’epoca georgiana - accessori fondamentali prima dell’introduzione delle borse moderne - insieme alle camicie dal taglio Regency, leggere e lineari, figlie di un gusto neoclassico che esaltava la naturalezza della forma corporea. La corsetteria edoardiana, invece, racconta un passaggio di gusto verso una silhouette sinuosa ed esasperatamente a “S”, esaltando busto e fianchi secondo l’estetica di inizio Novecento.
Ma è l’iconico bustier georgiano “a coda di aragosta”, risalente agli anni intorno al 1880, a catturare lo sguardo come un capolavoro di ingegneria sartoriale. La sua struttura, gonfia e stratificata sul retro come il carapace di un crostaceo, non nasce per caso: è il frutto di un cambiamento radicale nella percezione del corpo femminile. Laddove la moda precedente privilegiava una rotondità morbida e diffusa, questo bustier scolpisce una figura architettonica, slanciando il punto vita e proiettando verso l’esterno fianchi e parte posteriore della gonna.
Il risultato è una silhouette teatrale, quasi irreale, che non si limita a vestire il corpo ma lo reinventa come monumento vivente. In quella forma esagerata e al tempo stesso rigorosa si legge l’ambizione di un’epoca: trasformare la donna in una creatura di volume e presenza scenica, custode di un’eleganza che non teme l’artificio. Una svolta che avrebbe influenzato a lungo l’evoluzione della moda ottocentesca, spianando la strada ai futuri eccessi edoardiani e consegnando alle passerelle della storia un simbolo indimenticabile di potere estetico.
Gli indumenti sono esposti in varie stanze della residenza, dalla camera da letto blu al salotto, dalla sala da pranzo agli ambienti più intimi, creando un percorso che trasforma la visita in un viaggio attraverso l’alcova della Storia. "Ho sempre trovato un peccato che dei lavori così belli venissero nascosti sotto strati di tessuto, anche se nascosti da bei vestiti", confessa Jeni White di Hull, una delle volontarie che hanno realizzato alcune riproduzioni per l'esposizione, catturando con queste parole il paradosso insito in questi capi, opere d'arte destinate a rimanere invisibili.
La storia della lingerie è, del resto, la storia stessa della donna occidentale, con le sue contraddizioni e le sue rivoluzioni silenziose. Un percorso in cui l’intimo diventa manifesto, e il corpo - disciplinato, esaltato o liberato - si trasforma in simbolo. Una delle prime protagoniste di questa narrazione fu senza dubbio Caterina de’ Medici, vera influencer ante litteram, che oltre ad aver di fatto inventato i tacchi a spillo impose l'uso di corsetti tanto stretti da ridurre il girovita a dimensioni innaturali, codificando così un ideale di bellezza che sarebbe durato tre secoli. Non solo. Perché fu sempre Caterina a sdoganare l’uso delle mutande, o meglio mutandoni visto che arrivavano sino al polpaccio, entrate in uso perché appassionata di equitazione e quindi indispensabili per la cavalcatura all’amazzone.
Ma, come spesso accade, ciò che nasce per decoro finisce per flirtare con la seduzione. E così nei decenni successivi quei mutandoni iniziarono a essere confezionati in broccati dorati, sete argentate, merletti minuti e perfino pietre preziose. Non più semplice protezione, ma promessa velata. E tanto bastò perché la Chiesa li bollasse come indumenti osceni e libidinosi. Fu nello stesso clima che, soprattutto nelle città libertine, le “braghesse” divennero firma professionale delle cortigiane: indumenti lunghi fino al ginocchio, spesso impreziositi da nastri e ricami, esibiti con abilità teatrale attraverso spacchi strategici o gonne tirate su con fili a effetto scenografico.
A quel punto, l’aristocrazia arretrò con imbarazzo: col risultato che all’inizio del Settecento solo poche nobildonne le indossavano ancora, temendo associazioni scandalose. Ma fu l’Ottocento a portare questa ossessione per l’intimo femminile a livelli quasi parossistici. Le dame vittoriane indossavano fino a sette strati di biancheria intima: la chemise a contatto con la pelle, poi il corsetto, i mutandoni fino al ginocchio, la sottoveste, la crinolina, un'altra sottoveste e infine la gonna vera e propria: un'architettura tessile che richiedeva ore per essere assemblata e smontata, e che trasformava il corpo femminile in una sorta di fortezza inespugnabile.
Ogni gesto diventava calcolato, ogni passo un piccolo rituale di autocontrollo. Il corpo non apparteneva più alla donna, ma all’abito che lo conteneva. Persino la sottoveste, spesso considerata un semplice sottofondo, assumeva un ruolo centrale e imprescindibile: proteggeva il vestito dal sudore d’estate, tratteneva il calore d’inverno, impediva che una postura disattenta lasciasse intravedere una gamba, quella troppo sensuale sagoma che, dopo l’avvento della crinolina, poteva insinuarsi tra le stecche lasciando intuire l’indicibile.
"La biancheria intima è ciò che contribuisce alla forma e allo stile dei costumi d'epoca e ha influenzato notevolmente il modo in cui vediamo personaggi storici famosi", ha dichiarato il consigliere Nick Coultish, membro del gabinetto per la cultura, il tempo libero e il turismo dell'East Riding of Yorkshire, sottolineando come i manufatti ospitati presso la Sewerby Hall abbiano letteralmente plasmato l'immagine che abbiamo di regine, cortigiane e dame attraverso i secoli. "La maggior parte degli oggetti esposti non sono solitamente esposti al pubblico, quindi questo è un modo meraviglioso per i visitatori di sbirciare dietro il velo della storia", aggiunge usando una metafora che evoca tanto il pudore quanto la curiosità che avvolge questo universo nascosto fatto di balze, stecche di balena e nastri serrati, che oggi torna alla luce svelando non solo ciò che stava sotto gli abiti, ma anche ciò che si celava dietro i gesti, le pose e l’immagine stessa del potere femminile attraverso i secoli.