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Moda italiana, serve una rivoluzione trasparente

Redazione
 
Moda italiana, serve una rivoluzione trasparente
Il Made in Italy della moda è arrivato al bivio più delicato della sua storia recente. Tra scandali mediatici, delocalizzazioni mascherate e concorrenza sleale, la credibilità del sistema produttivo italiano rischia di sgretolarsi proprio sul suo punto di forza: l’autenticità. Per Confartigianato Moda e CNA Federmoda la strada per invertire la rotta passa da una parola chiave: certificazione di filiera, ma non come semplice bollino di conformità, bensì come strumento di legalità, equità e valorizzazione del lavoro artigiano.

Moda italiana, serve una rivoluzione trasparente

Paradossalmente, mentre il fast fashion impone la sua immagine globale, costruendo un marchio immediatamente riconoscibile, le imprese italiane, che custodiscono saperi e competenze uniche, faticano a essere tutelate e riconosciute. La certificazione, spiegano le associazioni, può restituire al Made in Italy la sua identità distintiva, ma solo se sarà costruita su basi concrete e condivise, e non trasformata nell’ennesimo adempimento burocratico.

La “Certificazione unica di conformità delle filiere della moda” deve valorizzare l’intera catena produttiva, dai grandi brand alle micro e piccole imprese che ne rappresentano la spina dorsale. Non basta verificare il prodotto finale, serve rendere trasparente ogni passaggio, ogni fornitura, ogni contratto. Le aziende artigiane chiedono che la certificazione garantisca tracciabilità totale, criteri di proporzionalità per le PMI e un principio inderogabile: l’equa remunerazione.

Confartigianato Moda e CNA Federmoda ricordano inoltre che la vera legalità si costruisce con la giustizia contrattuale. Troppe volte i subfornitori vengono lasciati soli, schiacciati da capitolati imposti e tempi di pagamento insostenibili. Da qui l’appello all’applicazione piena della Legge 192/1998 sulla subfornitura, che impone chiarezza nei contratti, prezzi equi e responsabilità condivisa lungo la filiera.

La certificazione, se ben strutturata, può diventare un potente strumento di selezione del mercato, emarginando chi opera nell’irregolarità e premiando chi rispetta le regole. Ma occorre che lo Stato faccia la sua parte, servono controlli pubblici mirati, organismi di certificazione accreditati e un sistema che riconosca gli audit già esistenti, evitando duplicazioni e costi inutili.

Le associazioni propongono inoltre un tavolo tecnico permanente con le istituzioni e le parti sociali, per aggiornare costantemente il modello di certificazione, integrarlo con i sistemi già attivi e costruire una governance di filiera capace di valorizzare davvero chi produce valore, lavoro e bellezza.

Il Made in Italy non può più essere solo un marchio, ma un patto di trasparenza tra chi crea, chi vende e chi acquista.
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