Secondo quanto riportato dalla CNN, il Senato degli Stati Uniti sarà aggiornato sulla situazione iraniana con un briefing riservato previsto per oggi, mentre la Camera dei Rappresentanti riceverà informazioni domani.
La comunicazione dell’amministrazione Trump, tuttavia, è già sotto accusa: esponenti democratici di primo piano, in particolare dalle commissioni Intelligence di Camera e Senato, hanno espresso irritazione per l’assenza di trasparenza e temono manipolazioni dei fatti a monte dell’audizione.
Medio Oriente: i media internazionali puntano l'attenzione sugli effetti reali dell'attacco americano
Mentre i bombardieri B-2 americani colpivano siti nucleari iraniani, gli analisti dell’Asia orientale guardavano a Pyongyang. Secondo la CNN, esperti sudcoreani avvertono che la Corea del Nord potrebbe interpretare l’offensiva come un precedente pericoloso e decidere di accelerare il proprio programma nucleare, rafforzando al contempo i legami militari con Mosca.
"L’attacco di Trump rafforzerà la convinzione del regime di Kim Jong-un che l’arma nucleare sia l’unica garanzia di sopravvivenza", afferma Lim Eul-chul, professore di studi nordcoreani all’Università Kyungnam.
Sul fronte dell’efficacia militare, la versione ufficiale resta oggetto di controversia.
BBC e Le Monde sottolineano le divergenze tra le dichiarazioni dell’intelligence e quelle dell’amministrazione Trump. Se il direttore della CIA John Ratcliffe ha affermato che gli attacchi hanno "regredito di anni" il programma nucleare iraniano, una valutazione preliminare trapelata dal Pentagono — che ha fatto infuriare Trump — suggeriva che i danni fossero in realtà contenuti.
Il presidente ha ribadito che gli impianti sono stati "distrutti", mentre Le Monde riporta che, secondo fonti statunitensi, non vi sono prove che l’Iran abbia trasferito i circa 400 kg di uranio arricchito al 60% prima dell'attacco — materiale pericolosamente vicino alla soglia necessaria per la costruzione di un’arma atomica -.
Rafael Grossi, direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), ha dichiarato alla televisione francese che l’Iran ha interrotto ogni forma di cooperazione con l’organismo e che la tracciabilità dell’uranio si è persa "sin dall’inizio delle ostilità".
A complicare ulteriormente il quadro mediorientale, le dichiarazioni di Donald Trump sulla magistratura israeliana. Come riportato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il presidente statunitense ha chiesto l’archiviazione immediata del processo per corruzione a carico di Benjamin Netanyahu, attaccando frontalmente il sistema giudiziario di Tel Aviv. "Israele è guidato da Bibi Netanyahu, il più grande leader della sua storia, e viene perseguitato in una caccia alle streghe ridicola", ha scritto Trump su Truth Social, aggiungendo: "Siamo stati noi a salvare Israele, e saremo noi a salvare anche Bibi".
Un intervento che non solo solleva interrogativi sull’equilibrio dei poteri tra politica e giustizia, ma che alimenta ulteriormente le tensioni tra Israele e Iran, in un momento in cui lo stesso Netanyahu ha testimoniato in aula per la prima volta dopo cinque anni di processo.
La stampa spagnola, in particolare El Mundo e El País, racconta del duro scontro tra il premier Pedro Sánchez e Donald Trump. All'origine del dissidio, l’opposizione della Spagna all’impegno di portare la spesa per la difesa al 5% del PIL, obiettivo raggiunto nel documento finale del vertice ma con il ritiro di Madrid. "Trump ha attaccato la Spagna e questo vertice mostra una profonda spaccatura nella NATO", denuncia Sánchez, mentre il Partito Popolare spagnolo tenta una linea intermedia, affermando di non essere "né con Sánchez, né con Trump".
Una posizione ambigua che sottolinea la fragilità della coesione euro-atlantica nel momento in cui sarebbe più necessaria. Infine, Financial Times sottolinea un aspetto strategico spesso trascurato nel dibattito occidentale: l’effetto domino che le azioni statunitensi in Iran stanno generando nei calcoli geopolitici di Pechino.
L’offensiva americana ha infatti costretto la Cina a rivedere la presunta linea isolazionista dell’amministrazione Trump, alimentando il timore che Washington stia tornando a una dottrina interventista unilaterale. Anche il rafforzamento dell’asse tra Corea del Nord e Russia viene visto come un potenziale game-changer, con Mosca pronta a fornire know-how militare in cambio di sostegno diplomatico e destabilizzazione degli equilibri occidentali.