Ore di febbrile trattativa e nervi tesi lungo l’arco infuocato del Medio Oriente, dove la crisi di Gaza si intreccia con le tensioni al confine meridionale del Libano, mentre cresce la pressione diplomatica internazionale su Israele. Il piano di cessate il fuoco temporaneo promosso dall’inviato speciale americano Steve Witkoff, e sostenuto da Washington e Doha, è stato accettato da Israele, ma respinto da Hamas, facendo arenare – almeno per ora – la fragile speranza di una tregua. Il rifiuto del movimento islamista ha riacceso gli appetiti bellici delle ali più radicali del governo israeliano.
Medio Oriente: cessate il fuoco in bilico, tra il no di Hamas, la pressione Usa e il caos umanitario
Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale e volto dell’ultradestra israeliana, ha tuonato sui social: “Signor Primo Ministro, dopo che Hamas ha nuovamente respinto la proposta di accordo, non ci sono più scuse. È ora di intervenire con tutta la nostra forza per distruggere e uccidere Hamas”.
Una dichiarazione che sa di ultimatum interno e che alimenta il rischio di una nuova offensiva su larga scala, proprio mentre la comunità internazionale chiede de-escalation e corridoi umanitari.
Nel frattempo, a Gaza si consuma una tragedia umanitaria senza precedenti. Gli 11 giorni di blocco totale imposti da Israele hanno spinto centinaia di migliaia di persone sull’orlo della carestia. Le immagini di saccheggi nei magazzini del World Food Programme e nei punti di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) testimoniano il collasso sociale: uomini, donne e bambini assaltano i camion degli aiuti, portando via sacchi di farina come unica ancora di salvezza. Mentre il ministero della Sanità palestinese denuncia 11 morti e decine di feriti nei pressi dei centri di distribuzione, la GHF smentisce, parlando di “consegne ordinate”.
Due versioni inconciliabili, che rendono ancora più difficile ricostruire la verità nel caos di un conflitto cronicizzato. L’improvvisato sistema di aiuti sostenuto da USA e Israele è finito nel mirino dell’Unione Europea. L’Alta rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, ha duramente criticato il meccanismo, definendolo “una privatizzazione della distribuzione umanitaria” che Bruxelles non intende sostenere. “Gli attacchi di Israele a Gaza vanno oltre quanto necessario per combattere Hamas”, ha ammonito Kallas.
Sulla stessa linea, il presidente francese Emmanuel Macron, che poche ore fa ha alzato il tono da Singapore, dichiarando che “riconoscere lo Stato palestinese non è solo un dovere morale, ma un’esigenza politica”. Il leader dell’Eliseo ha poi lanciato un chiaro avvertimento a Tel Aviv: “L’Europa deve rafforzare la sua posizione collettiva contro Israele se non verranno date risposte concrete alla crisi umanitaria nelle prossime ore”.
In parallelo, evidenzia CNN, l’esercito israeliano ha emesso una nuova, massiccia direttiva di evacuazione per ampie aree della Striscia di Gaza, sia a nord che a sud. Una strategia che, secondo il ministro della Difesa Israel Katz, mira a “svuotare Gaza” e considerare chi resta come potenziale combattente. Una mossa che rischia di configurare uno spostamento forzato di popolazione su larga scala, mentre l’enclave si restringe sempre più in una sottile fascia costiera. A complicare ulteriormente lo scenario, si riaccendono le tensioni al confine israelo-libanese.
Il primo ministro libanese Nawaf Salam – ex giudice della Corte internazionale di giustizia e figura simbolo di riformismo – ha accusato Israele di non rispettare gli accordi mediati dagli Stati Uniti lo scorso novembre, che prevedevano il ritiro da cinque località del Libano meridionale. “Israele non ha mantenuto i suoi impegni”, ha dichiarato Salam alla CNN durante l’Arab Media Forum di Dubai. “La presenza israeliana in Libano è una linea rossa per tutti, non solo per Hezbollah”. Il premier ha sottolineato che l’esercito libanese sta consolidando il controllo sul territorio, e che Hezbollah si è impegnato a riconoscere l’esclusiva autorità armata dello Stato.
“Vogliamo che Israele se ne vada ieri, non domani”, ha aggiunto con tono perentorio, sottolineando che oggi, con le tecnologie di sorveglianza satellitare, droni e spionaggio, non vi è alcuna necessità strategica di un’occupazione militare sul campo. Il ministro della Difesa israeliano Katz ha tuttavia ribadito che l’esercito resterà “a tempo indeterminato” per garantire la sicurezza degli abitanti del nord.
Una posizione che sembra vanificare gli sforzi dei mediatori occidentali – Stati Uniti, Francia e ONU – per mantenere vivo il cessate il fuoco. In questo contesto, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha rinnovato la sua ferma condanna delle attività di colonizzazione israeliane nei Territori Occupati, inclusa Gerusalemme Est. “Gli insediamenti sono illegali e rappresentano un ostacolo alla pace e allo sviluppo economico”, ha dichiarato il suo portavoce, Stephane Dujarric.