In primo piano su tutti i media internazionali lo shutdown che sta paralizzando Washington: il governo federale ha ufficialmente chiuso i battenti a mezzanotte, dopo che il Congresso non è riuscito a raggiungere un accordo sul pacchetto di finanziamenti necessari all’avvio del nuovo anno fiscale. Come ricorda la CNN, la paralisi amministrativa colpisce ogni volta in modo diverso, ma le funzioni considerate essenziali – quelle legate alla protezione della vita umana e della proprietà – restano attive.
World Media Headlines: nessun accordo sul bilancio, il governo USA chiude i battenti
Ciò non impedirà però che i cittadini si trovino a fare i conti con disagi tangibili: dai parchi nazionali chiusi ai possibili ritardi negli aeroporti, dove i controllori di volo e il personale della Transportation Security Administration continueranno a lavorare ma senza stipendio. Anche i musei dello Smithsonian, il più grande complesso museale del mondo, rischiano di chiudere, nonostante i fondi residui permettano di restare aperti almeno fino al 6 ottobre. Amtrak, invece, ha rassicurato i passeggeri che i treni continueranno a circolare.
Nel frattempo, sul sito ufficiale della Casa Bianca è comparso un orologio che segna il tempo dello shutdown, accompagnato da una scritta che attribuisce ai democratici la responsabilità del blocco. Lo scontro politico è ormai a tutto campo: i repubblicani chiedono una semplice proroga dei finanziamenti per altre sette settimane, mentre i democratici non intendono concederla senza garanzie sull’aumento dei sussidi previsti dall’Obamacare.
Il precedente più lungo risale al 2018-2019 e durò 35 giorni, con un costo stimato in 3 miliardi di dollari di PIL perso secondo il Congressional Budget Office. Ora, con tutte e dodici le leggi di bilancio ancora da approvare, si tratta di un vero e proprio shutdown totale, il quattordicesimo dal 1980 a oggi.
Intanto, dal fronte mediorientale arrivano notizie che sottolineano la gravità della situazione a Gaza. L’esercito israeliano, come riporta il Guardian, ha annunciato che da mercoledì chiuderà l’ultima via rimasta per consentire il passaggio dal sud della Striscia verso Gaza City. La via Al-Rashid sarà bloccata al traffico in entrata, mentre resterà consentito solo lo spostamento verso sud. Secondo l’ONU, oltre 250.000 persone sono state costrette a lasciare la città nell’ultimo mese, mentre l’offensiva israeliana continua a costringere migliaia di famiglie a fuggire ogni giorno. In questo contesto si inserisce il nuovo piano presentato dal presidente americano Trump a Washington, sostenuto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Il progetto in 20 punti, che ha raccolto consensi anche tra diversi leader arabi, pone Hamas davanti a un ultimatum: tre o quattro giorni per rispondere, altrimenti “ci saranno conseguenze”. Se Israele e una parte della regione hanno accolto con favore la proposta, fonti interne ad Hamas – citate dalla BBC – fanno sapere che il movimento intende respingerla, giudicandola funzionale agli interessi israeliani e lesiva dei diritti palestinesi. In particolare, Hamas rifiuta sia il disarmo sia l’ipotesi di una forza internazionale di stanza nella Striscia, definita come una nuova forma di occupazione. Spostando lo sguardo sull’Europa, l’allarme arriva dalla Danimarca.
Il primo ministro Mette Frederiksen, in due interviste concesse al quotidiano danese Berlingske e al Financial Times, ha parlato senza mezzi termini di una situazione destinata a peggiorare. Dopo gli avvistamenti di droni nello spazio aereo nazionale, Frederiksen ha evocato scenari che ricordano quelli del periodo tra le due guerre mondiali, con l’Europa stretta tra il conflitto in Ucraina e una nuova “guerra ibrida” fatta di droni, attacchi informatici e sabotaggi. Il tema è al centro del Consiglio europeo informale in corso a Copenaghen, a cui partecipa in videoconferenza anche il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy. Intanto, diversi Paesi – dalla Francia alla Germania, fino a Stati Uniti e Regno Unito – hanno offerto supporto logistico e di sicurezza per garantire il regolare svolgimento degli incontri.
Sul campo, la guerra in Ucraina continua a mietere vittime e a logorare la popolazione civile. Secondo Reuters, nelle città di Kramatorsk e Sloviansk la vita quotidiana è segnata dalla presenza dei droni kamikaze russi che sorvolano le strade alla ricerca di obiettivi, costringendo i residenti a scegliere se restare o fuggire. A Kharkiv un attacco aereo ha provocato sei feriti e diversi incendi, mentre nel sud del paese le piogge torrenziali hanno causato inondazioni improvvise con almeno nove vittime a Odessa.
La stessa Russia, intanto, ha riferito che uno dei principali impianti nucleari ucraini funziona grazie a generatori diesel di emergenza, segnalando la vulnerabilità delle infrastrutture strategiche sotto i bombardamenti. Infine, su tutti i media la notizia che arriva dalle Filippine, dove un terremoto di magnitudo 6,9 ha devastato la regione centrale del Paese, provocando almeno 69 morti secondo quanto riportato dalla BBC. L’epicentro è stato individuato nella provincia di Cebu, che ha dichiarato lo stato di calamità.
Le immagini arrivate dalla zona mostrano ponti crollati, strade spaccate e interi edifici ridotti in macerie. I soccorritori stanno scavando tra le rovine alla ricerca di sopravvissuti, mentre le autorità cercano di ripristinare elettricità e linee di comunicazione. Il sisma arriva dopo settimane già segnate da calamità naturali: una serie di tifoni ha recentemente causato oltre una dozzina di vittime, mentre la stagione dei monsoni, insolitamente intensa, ha provocato gravi inondazioni. Un susseguirsi di disastri che alimenta la rabbia della popolazione e mette in evidenza la vulnerabilità dell’arcipelago, situato sulla cosiddetta “cintura di fuoco” del Pacifico, una delle aree più instabili dal punto di vista geologico.