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Maturandi (e prof) riscrivono la storia, la letteratura e perfino il DNA

Redazione
 
Maturandi (e prof) riscrivono la storia, la letteratura e perfino il DNA

In un’Italia dove la maturità è ancora considerata un rito di passaggio, una specie di prova del fuoco per dimostrare di aver accumulato nozioni, competenze e un pizzico di spirito critico, anche quest’anno a brillare – più che il sapere – sono stati gli strafalcioni. Perle rare, anzi, talmente comuni da aver ormai assunto lo status di tradizione, come l’ansia da prestazione o la borraccia piena d’acqua zuccherata. Il Pangolino d’Oro per la confusione letteraria va senza dubbio a Gabriele D’Annunzio, ribattezzato da uno studente con l’inedito titolo di Gabriele “l’estetista”.

Maturandi (e prof) riscrivono la storia, la letteratura e perfino il DNA

E così il Vate da poeta-soldato nonché amante della bellezza e delle dive, è stato declassato a esperto di cerette e skincare. Un destino crudele ma, in fondo, coerente con i tempi: viviamo in un’epoca in cui si parla più di filler che di decadentismo, più di dermopigmentazione che di panismo. Dunque, perché stupirsi se l’ideale estetico dannunziano sia stato tradotto con un trattamento viso? Almeno, si può dire che l’ossessione per la bellezza l’abbiano colta. E non è nemmeno l’unico caso in cui la realtà è stata stiracchiata fino a diventare una caricatura.

La raccolta degli svarioni è ormai un genere letterario a sé, con autori involontari e trame sempre nuove. Grazie alle segnalazioni raccolte dal portale Skuola.net, possiamo comporre anche quest’anno una piccola antologia del paradosso: da Marie Curie che si porta a casa non uno, ma ben due Oscar – probabilmente come “miglior attrice protagonista in laboratorio” – fino a Hitler che, bontà sua, si aggiudica un Premio Nobel per la Pace. Un mondo capovolto, dove la storia è scritta da chi non ha letto nemmeno Wikipedia.

Tra i drammi letterari, poi, D’Annunzio non è solo vittima di un cambio di mestiere. Gli è stata pure sottratta la sua poesia più celebre, La pioggia nel pineto, scippata e attribuita con disinvoltura a Giovanni Pascoli. Quest’ultimo, peraltro, è finito al centro di un’ulteriore distorsione creativa: secondo un maturando, sarebbe stato proprio lui, e non Pirandello, l’autore della teoria della “frantumazione dell’io”. A pensarci bene, in effetti, anche Pascoli ha avuto i suoi momenti di crisi esistenziale, ma da qui a strappargli un concetto cardine del pensiero novecentesco ce ne passa. Gli orrori si estendono anche al calendario. Qualcuno ha spostato l’inizio della Seconda Guerra Mondiale al 1933, come se Hitler fosse partito in anticipo per evitare il traffico bellico.

Un altro ha gentilmente fatto tornare l’Italia una monarchia, dimenticandosi di un certo referendum del 2 giugno 1946. Il re è nudo, anzi no, per qualcuno c’è ancora. E poi c’è il revisionismo artistico. Pablo Picasso, poveretto, continua a essere una delle vittime preferite degli esami: quest’anno è stato ribattezzato Paolo (forse per renderlo più familiare) e la sua Guernica, universalmente conosciuta per la sua drammatica scala di grigi, è stata definita “un quadro dipinto di rosso”. Forse un omaggio al sangue, forse solo daltonismo interpretativo.

Ma ormai anche l’arte è soggettiva, no? Le perle di scienze, poi, meritano un capitolo a parte. Come anticipato, Marie Curie, che lo ricordiamo per i più distratti ha vinto due Premi Nobel (Fisica e Chimica), per uno studente amante del cinema ha vinto due Oscar. Non mancano le gaffe internazionali: Émile Zola, paladino del realismo e voce dell’affaire Dreyfus, secondo uno studente sarebbe stato italiano. C’è chi sospetta un caso di omonimia con l’ex calciatore Gianfranco Zola, che almeno era davvero sardo.

Ma il vero colpo di scena arriva quando i ruoli si invertono. Ebbene sì: non sono solo gli studenti a inciampare, ma anche i membri della Commissione. Una professoressa di storia dell’arte ha collocato il Futurismo nel 1919, con appena dieci anni di ritardo rispetto al manifesto di Marinetti. Mentre un altro professore ha interrogato in latino... in una classe che il latino non l’ha mai studiato. Forse voleva solo vedere se i ragazzi sapevano improvvisare in una lingua morta. E poi ci sono i momenti di surrealismo puro.

Per esempio, una studentessa ha raccontato che durante l’orale di scienze il commissario ha coinvolto la madre e la sorella gemella nella discussione sul DNA. Una scena che nemmeno in una sit-com: “Signora, conferma che i gemelli condividano lo stesso patrimonio genetico?”. Domande che nemmeno a Ciao Darwin. C’è anche chi ha deciso di sfidare l’esame con l’arma del silenzio: scena muta, sguardo fisso, forse un vago sorriso. Un esperimento teatrale? Un omaggio a Carmelo Bene? No, più probabilmente un gesto disperato di chi sapeva di avere già il 60 e ha preferito non rovinare la media con parole superflue. La verità è che ogni esame di maturità è uno specchio deformante: riflette le contraddizioni della scuola, della società, dell’epoca che attraversiamo.

Tra IA usata per prepararsi (e a volte per confondersi), sovrabbondanza di informazioni e mancanza di fondamenta, la memoria diventa liquida, i concetti si mischiano e la cronologia si scioglie come un ghiacciolo al sole. Ma forse è giusto così. Perché, alla fine, i maturandi sono lo specchio del nostro tempo. Un tempo che confonde Émile Zola col calciatore Gianfranco Zola, Oscar Wilde con Charles Dickens, e dove la memoria storica sembra un optional. Un tempo che, tra un errore e una risata, ci ricorda che crescere significa anche sbagliare. E poi, magari, correggersi. O almeno, lo si spera. Magari prima dell’orale dell’anno prossimo.

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