Esteri

Zohran Mamdani, underdog e predestinato, baciato dal destino

a cura di Diego Minuti
 
Zohran Mamdani, underdog e predestinato, baciato dal destino

Zohran Mamdani, nuovo sindaco di New York - lo sarà dal gennaio - avrebbe tutte le caratteristiche per incarnare uno dei miti americani, quello del Paese che offre a tutti, anche agli ultimi tra gli ultimi, l'opportunità del riscatto o di affermazione, se non fosse che a lui i panni dell'underdog, dello sfavorito per definizione, stanno stretti, anzi non calzano proprio.

Zohran Mamdani, underdog e predestinato, baciato dal destino

Perché il giovane, simpatico, intelligente, comunicativo e anche bello ragazzo d'origini lontane, con una moglie colta e affascinante, sembra essere il risultato perfetto di una operazione in cui lui ha messo la materia - sé stesso -, ma è stata la Grande Mela a costruirlo come futuro leader di una città oggi, domani forse di un partito.
Mamdani non ha fatto nulla per cogliere la mela della vittoria dal ramo più basso dell'albero del Potere, ma, guardandosi intorno, si è limitato a fare l'Isaac Newton del momento, aspettando con pazienza che il frutto gli cadesse in testa.

Perché ormai le circostanze della sua vittoria erano nell'aria.
Vittoria non sua, come persona, ma come esponente di una città e di una società (quella newyorkese è a parte rispetto al resto degli Stati Uniti) che ciclicamente ha la forza di tentare di cambiare, spesso comunque sbagliando la persona su cui confidare.

Lui, bello, bravo etc.etc, ha avuto il merito di capire che quel microstato nello Stato che è New York era pronto ad un ennesimo cambiamento, cogliendo due essenziali segnali: il primo, endogeno, relativo alla rimanifestatasi stanchezza della città ad un establishment - democratico o repubblicano, poco importa - capace solo di osservare il proprio ombelico e quindi restando distante dalla realtà e dai suoi problemi; il secondo, quello della ribellione ad una visione autoritaria dello Stato federale, per come ormai lo sta plasmando Donald Trump e la sua allegra brigata di bontemponi che sono diventati il braccio armato delle vendetta del tycoon contro tutti quelli che dissentono dalle sue politiche, ieri ed oggi.

New York è un mondo a parte e questo le consente di proporsi come il celeberrimo laboratorio politico cui altri si possono ispirare, dimenticando però che la città vive di vita propria, con una sua specifica cultura, con una potenza economica da Nazione a sé stante, e che quindi le formule che, sulla carta, vanno bene da Manhattan, al Queens a Staten Island, sono destinate al fallimento appena passato il confine col New Jersey.

Per questo, onore al merito a Mamdani e alla sua formidabile macchina per la cattura del consenso per avere vinto, ma per lui il difficile arriva ora, quando dovrà cucire una veste istituzionale addosso alle rivoluzioni che intende varare. Sì, al plurale, perché si parla di più stravolgimenti del panorama della città, toccando punti sensibili della società, come quelli dei problemi di vita quotidiana, che non sono quelli dei quartieri finanziari, ma della gente comunque, quella che deve prendere la metro, che deve pagare un affitto di casa esorbitante, che vede ne negozi prezzi più altri che nel resto del Paese.

Ma il futuro sindaco ama le sfide, anche se l'immagine del self mad man, anzi del self made hero gli sta stretta, visto che lui, nonostante sia un immigrato, lo è sui generis, figlio di un docente universitario e di una regista di fama planetaria, che certo non ha affrontato i problemi del resto dei suoi concittadini. Quelli che lo hanno votato chiedendogli il cambiamento.

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