Forse, davanti all'urna, il senatore democratico di New York Chuck Schumer, uno dei politici ebrei più potenti degli Stati Uniti, ha tentennato prima di scegliere se votare o meno Zohran Mamdani, socialista e musulmano e assolutamente convinto di non doversi scusare di esserlo.
Prima e dopo l'elezione, Mamdani continua a spaccare la comunità ebraica
Schumer non è il solo ebreo newyorkese ad avere avuto dei dubbi.
Ne ha avuti anche lo scrittore Safran Foer che, alla fine, ha deciso per la scheda bianca e lo ha anche detto, spiegandone le ragioni.
Sono queste storie, ma anche mille altre, lo specchio della lacerazione vissuta dalla comunità israelita della Grande Mela, che non è fatta solo di finanzieri e commercianti, ma anche da intellettuali e gente comune, che si sono trovati davanti al dilemma se continuare a dirsi, essere e votare democratico oppure cambiare fronte, davanti ad un uomo che non ha fatto mistero di non essere un amico di Israele, anzi contestando con durezza le politiche del governo di Benjamin Netanyahu, non avendo mai nascosto come la pensa sul presente e sul futuro, ma anche sul passato della Palestina.
Alla fine, quindi, a responso elettorale ufficializzato, per la maggior parte degli ebrei di New York c'è stata la scontata soddisfazione per vedere un democratico a City Hall, ma anche evidente diffidenza, guardando al crescente antisemitismo, che si coglie anche nella Grande Mela, e alla lunga storia di attivismo anti-israeliano e filo palestinese del futuro primo cittadino.
La vicinanza della comunità ebraica ai democratici è antica è solida, o almeno lo era, sino a quando, sull'orizzonte di New York, non si è stagliata, prepotente e coinvolgente, la figura di Zohran Mamdani, stravolgendo un ticket (ebrei-democratici) ormai consolidato e capace di essere anche determinante per la vita della città.
Questa discrasia tra le vecchie alleanze e il nuovo profilo del partito nella città ha determinato un esito assolutamente inatteso, con circa il 64% degli elettori ebrei che ha votato per l'ex governatore Andrew Cuomo, candidato indipendente (che, alla fine della campagna elettorale, ha incassato il pesante endorsement di Donald Trump, a buoi ampiamenti scappati dalle stalle) mentre circa un terzo ha votato per Mamdani.
Che questo significhi che gli ebrei possano voltare le spalle ai democratici oltre l'Hudson e l'East River appare abbastanza improbabile, ma la candidatura di Mamdani ha scatenato reazioni inattese nel resto del Paese, giungendo anche ad una presa di posizione ufficiale di alcuni ascoltati rappresentanti dei rabbini e dei gruppi ebraici, con tanto di appello non solo a boicottare il candidato democratico, ma proprio a votargli contro, puntando sia pure non menzionandolo ufficialmente, su Cuomo, personaggio divisivo semmai ce n'è stato uno in questa contesa elettorale.
Ma, a controbilanciare questa inusuale offensiva mediatica contro Mamdani, altri elettori ebrei, in particolare quelli delle generazioni più giovani, hanno considerato le sue opinioni su Israele positive o le hanno valutate nel complesso meno importanti delle sue politiche interne in materia di accessibilità economica, alloggi e resistenza al presidente Donald Trump che ormai, vista la consolidata vicinanza a Netanyahu, viene bollato come corresponsabile delle politiche di Israele.
Dal punto di vista dell'analisi delle sfaccettature del consenso politico, che difficilmente è acritico, il voto degli ebrei di New York ha dimostrato l'eterogeneità delle opinioni politiche della comunità, anche se questa definizione poco si attaglia alla composita comunità israelita, con una evidente cesura tra le generazioni.
Mamdani, che dimostra già di avere capito come vanno le cose, poche ore dopo la sua elezione, ha detto che intende collaborare con i rabbini (che godono di grande prestigio personale e quindi sono catalizzatori di consenso) e gli altri leader della comunità "per mantenere la promessa non solo di proteggere gli ebrei newyorkesi, ma anche di celebrarli e apprezzarli nella stessa città".
"Non vedo l'ora di essere il sindaco di ogni persona che chiama questa città casa, compresi i newyorkesi ebrei che hanno votato per la nostra campagna e quelli che non l'hanno fatto", ha detto ai giornalisti. Non riuscendo però a creare unanimità di giudizio intorno a sé, accusato di non avere costruito la coalizione che lo ha eletto senza dialogare con la comunità ebraica di New York.
Che è ''necessaria per una New York forte, in grado di affrontare ogni forma di odio. Serve una forte coalizione con la comunità ebraica, e lui non è riuscito a conquistare la maggioranza di noi", dicono alcuni tra gli ebrei che si professano democratici. Che lo hanno anche votato, ma che ora gli chiedono di guadagnarsi il loro consenso,
Confermando il pragmatismo che in molti gli riconoscono, Mamdani, negli ultimi mesi, ha moltiplicato le sue apparizioni nelle funzioni religiose e negli eventi organizzati dalla comunità ebraica, condannato gli attacchi antisemiti come quelli di Washington e Boulder.
Ma la luna di miele non è cominciata ancora, come conferma l'annuncio dell'Anti-Defamation League, il gruppo di difesa degli ebrei, di avere creato un "Mamdani Monitor" per controllare politiche e nomine della nuova amministrazione,
"Ci aspettiamo che il sindaco della città con la più grande popolazione ebraica al mondo si schieri inequivocabilmente contro l'antisemitismo in tutte le sue forme e sostenga tutti i suoi residenti ebrei proprio come farebbe con tutti gli altri elettori", ha affermato in una nota il CEO dell'ADL Jonathan Greenblatt.
Ma il nuovo sindaco non ha gradito: "Penso che chiunque sia libero di catalogare le azioni della nostra amministrazione - ha affermato -. Nutro qualche dubbio sulla capacità di Jonathan di farlo onestamente, dato che in precedenza aveva affermato che non avevo visitato nessuna sinagoga, solo per poi doversi correggere ".