Economia

A maggio rimbalzano i mercati, ma persistono incertezze su dollaro, tassi e politica fiscale USA

Flora Dishnica, Investment Manager di Pictet Asset Management
 
A maggio rimbalzano i mercati, ma persistono incertezze su dollaro, tassi e politica fiscale USA
Maggio ha segnato la ripresa di numerose attività finanziarie, sia statunitensi che globali, dopo le turbolenze vissute ad aprile. In particolare, l’S&P 500 è tornato in territorio positivo rispetto all’inizio dell’anno. Le obbligazioni, invece, hanno registrato rendimenti in rialzo fino alla metà del mese, ma i tassi sono poi tornati a livelli vicini a quelli di inizio anno, soprattutto per quanto riguarda i Treasury decennali.

Gli effetti più marcati derivanti dall’operato di questa amministrazione si manifestano sul dollaro statunitense e sui tassi a 30 anni. Nel mese di maggio si è continuata ad osservare la debolezza del dollaro, che si è distaccata dalle dinamiche di equilibrio tradizionalmente guidate dal differenziale dei tassi di interesse rispetto ad altre valute. Questo accade mentre i tassi a 30 anni negli USA continuano a rimanere elevati, accumulando un differenziale sempre più ampio rispetto ai tassi a 10 anni.

Per quanto riguarda il dollaro, è spesso emersa la preferenza implicita dell’amministrazione Trump per una valuta meno forte rispetto al passato, senza che però venisse meno il suo ruolo negli scambi internazionali.

Sulla pesantezza del tasso a 30 anni, invece, si stanno accumulando sempre più dubbi sulla sostenibilità fiscale a lungo termine negli Stati Uniti. Il decreto-legge approvato alla Camera, il One Big Beautiful Bill, non soddisfa molte delle promesse elettorali. Non propone misure sufficienti a ridurre il deficit, che secondo le nostre stime rimarrebbe all’attuale livello, intorno al 6,5% per l’intero mandato presidenziale di Trump.

Analizzando più in dettaglio il testo, sono emerse diverse preoccupazioni, come ad esempio quelle relative alla sezione 899. Questa prevede tasse punitive, a partire dal 5%, per investitori ed imprese di Paesi con politiche fiscali definite discriminatorie dagli Stati Uniti. Un esempio potrebbero essere Germania e Francia, con la loro tassa sui servizi digitali. Questa nuova imposta colpirebbe i redditi passivi, come i dividendi, ma escluderebbe i titoli del Tesoro e le relative cedole.

Sebbene non sia esplicitato in modo chiaro, non escludiamo che questa misura possa essere un ulteriore elemento della tattica negoziale di Trump, soprattutto perché il disegno di legge dovrà essere discusso ed approvato dal Senato. Il contenuto verrà sicuramente dettagliato meglio, ma potrebbe anche subire modifiche significative. Viene indicato il 4 luglio come data ambiziosa per la votazione, ma è verosimile che si andrà oltre, probabilmente ad estate inoltrata.

Sul fronte tariffe, dopo la tregua con la Cina, i negoziati procedono e sembrano promettenti. Tuttavia, tardano ad arrivare nuovi accordi, ad esempio con l’Europa, e la scadenza del 9 luglio si avvicina.

Tornando al quadro macroeconomico, si conferma la dicotomia tra Fed e BCE. In Europa abbiamo assistito all’ottavo taglio consecutivo dei tassi, con il tasso di politica monetaria ora al 2%. Durante la conferenza stampa, la presedente Lagarde ha accennato alla fine del ciclo di allentamento, ma per il mercato si tratta di una pausa già attesa. Rimane invariata la previsione di un ulteriore taglio nel 2025 e di uno anche nel 2026. Le stesse previsioni della BCE, che hanno rivisto al ribasso le stime di inflazione per quest’anno e per il 2026, avvalorano queste aspettative.

Negli Stati Uniti, invece, i dati del mercato del lavoro restano inconcludenti ai fini della politica monetaria. I nuovi occupati del mese sono cresciuti più del previsto, ma i dati dei due mesi precedenti sono stati rivisti al ribasso. Di conseguenza, la crescita media degli ultimi tre mesi risulta in lieve rallentamento rispetto ai tre mesi precedenti, mentre la disoccupazione si mantiene stabile. Dunque, ancora nessun segnale d’allarme che possa spingere la Fed ad agire nel prossimo incontro del 18 giugno, mentre permane un alto grado di incertezza sulle prospettive d’inflazione.

Riteniamo che proprio l’inflazione sarà l’elemento più importante per le prossime decisioni di politica monetaria della Federal Reserve.

In conclusione, rimaniamo cauti sugli investimenti azionari, poiché le valutazioni risultano abbondanti considerando le molteplici fonti di incertezza attese nei prossimi mesi estivi. Anche le aspettative di crescita degli utili appaiono al momento troppo generose. Il mercato continua a concentrarsi sul rischio di inflazione negli Stati Uniti, legato soprattutto all’incertezza indotta dalle politiche sui dazi e ora anche dal fronte fiscale.

Pertanto, continuiamo a preferire l’esposizione alla duration europea rispetto a quella americana. In generale, il dollaro statunitense continua ad essere l’attivo più influenzato dall’agenda dell’amministrazione USA, motivo per cui confermiamo un’allocazione quasi nulla nei portafogli.
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