Il mondo dei beni di lusso personali sta vivendo una fase di rallentamento, ma non di vero e proprio collasso. È quanto emerge da un recente studio della società di consulenza Bain & Co., le cui conclusioni, pubblicate nei giorni scorsi e riprese dall'APNEWS, gettano una luce complessa su un settore da sempre trainante. Le vendite globali, che nel 2024 hanno toccato i 364 miliardi di euro (419 miliardi di dollari), sono previste in ulteriore contrazione quest'anno, con una stima di calo tra il 2% e il 5%.
Il lusso globale rallenta, ma non crolla: vendite previste in calo del 2-5% per il 2025
A pesare sono le minacce di dazi statunitensi e le tensioni geopolitiche, fattori che potrebbero innescare rallentamenti economici su larga scala. Claudia D'Arpizio, partner di Bain e coautrice dello studio (in foto), ha cercato di rassicurare il mercato, pur riconoscendo le sfide. "Essere positivi in un momento difficile, con tre guerre, economie in rallentamento e disuguaglianza ai massimi storici, non significa che il mercato sia al collasso", ha dichiarato D'Arpizio all'APNEWS. "Sta rallentando, ma non sta crollando". Oltre ai venti contrari esterni, il rapporto Bain sottolinea che i marchi del lusso si sono trovati ad affrontare problemi interni, avendo "alienato i consumatori con una continua crisi di creatività" e con "forti aumenti di prezzo".
Un altro fattore che ha scoraggiato gli acquirenti sono state le recenti indagini in Italia, che hanno portato alla luce condizioni di sfruttamento presso i subappaltatori incaricati della produzione di borse di lusso.
Lo studio evidenzia un marcato calo delle vendite nei mercati un tempo fiorenti come Stati Uniti e Cina. Negli USA, la volatilità del mercato, accentuata dalle minacce di dazi, ha indebolito la fiducia dei consumatori. La Cina, dal canto suo, ha registrato ben sei trimestri consecutivi di contrazione, a causa di una bassa fiducia dei consumatori.
Controcorrente, Medio Oriente, America Latina e Sud-est asiatico stanno invece registrando una crescita, mentre l'Europa si mantiene sostanzialmente stabile. Questa situazione ha creato una netta dicotomia tra i marchi: da un lato, quelli che continuano a mostrare una forte crescita creativa e di utili, come il Gruppo Prada, che ha visto un aumento del fatturato del 13% nel primo trimestre, raggiungendo 1,34 miliardi di euro; dall'altro, marchi come Gucci, il cui fatturato è sceso del 24%, attestandosi a 1,6 miliardi di euro nello stesso periodo.
Per affrontare le difficoltà, il colosso Kering, proprietario di Gucci, ha reagito prontamente, ingaggiando la scorsa settimana Luca De Meo, ex CEO di Renault, un dirigente di spicco del settore automobilistico. Questa mossa strategica mira a innescare un'inversione di tendenza, in un momento in cui tre dei suoi marchi di punta – Gucci, Balenciaga e Bottega Veneta – stanno lanciando nuovi direttori creativi. La notizia della nomina ha fatto balzare le azioni di Kering del 12%.
D'Arpizio ha enfatizzato il "track record" di De Meo, ricordando come abbia riportato alla redditività Renault e i suoi precedenti incarichi di direttore marketing in Volkswagen e Fiat. Tutti questi fattori, ha spiegato D'Arpizio all'APNEWS, "si sposano bene in un mercato come quello del lusso, quando ci si trova in una fase in cui la crescita è ancora la parola d'ordine, ma è anche necessario rendere l'azienda più agile in termini di costi e rilanciare alcuni marchi".
I brand stanno anche attuando modifiche operative per mitigare l'impatto di possibili dazi doganali statunitensi, tra cui la spedizione diretta dai siti di produzione anziché dai magazzini e la riduzione delle scorte nei negozi. "Con i cambiamenti estetici in atto, riempire i canali non ha molto senso", ha osservato D'Arpizio.
Tuttavia, numerosi ostacoli che frenano il settore sfuggono al controllo diretto delle aziende. "Molti di questi aspetti (negativi) non cambieranno presto. Ciò che può cambiare è una maggiore chiarezza sui dazi, ma non credo che fermeremo le guerre o l'instabilità politica in pochi mesi", ha affermato la coautrice dello studio all'APNEWS, aggiungendo che la fiducia dei consumatori di beni di lusso è più correlata all'andamento del mercato azionario che alla geopolitica.
Matteo Lunelli, presidente di Altagamma, l'associazione italiana dei marchi del lusso, ha voluto sottolineare una prospettiva più ampia: il settore ha registrato una crescita complessiva del 28% nel periodo 2019-2024, "posizionandosi ben al di sopra dei livelli pre-pandemici".
Nonostante la spesa per i beni di lusso sia sensibile alle turbolenze globali, storicamente si riprende rapidamente, spinta dai nuovi mercati e dalla domanda repressa. Emblematico è il caso della crisi finanziaria del 2008-2009, quando le vendite calarono drasticamente ma recuperarono ampiamente nel 2010, trainate dal mercato cinese. Analogamente, dopo il crollo del 21% delle vendite durante la pandemia, la domanda repressa ha spinto il settore verso nuovi record.