Tra le aspettative legittime di chi partecipa a un funerale figura, si presume, quella di trovarsi al cospetto della salma giusta. Una pretesa minimalista, quasi prosaicamente elementare, eppure non così scontata come potrebbe sembrare. Lo ha appreso a proprie spese una famiglia di Los Angeles che, riunita per dare l'estremo saluto a Joseph, ha scoperto che persino questa modesta certezza può trasformarsi in un'incognita.
Il defunto scambiato: tragicommedia mortuaria a Los Angeles
Sì: perché nella bara giaceva un perfetto sconosciuto. Un de cuius apocrìfo, se volessimo ammantare di eufemismi quella che è stata, in soldoni, una colossale topica mortuaria orchestrata dall'impresa di pompe funebri Forest Lawn. Che poi, diciamoci la verità: ci scappa anche un po’ da ridere nell’immaginare la faccia dei parenti - vedova, zio e zia – allorquando, varcata la soglia della camera ardente si sono ritrovati davanti ad uno spettacolo di ontologico smarrimento: quello nella cassa non era Joseph Espinoza! La questione, lungi dall'essere un dettaglio trascurabile, ha innescato un'ora di concitate ricerche del defunto legittimo tra i meandri refrigerati della struttura. Nel frattempo, i congiunti stazionavano in quella sorta di limbo kafkiano dove il cordoglio si mescola all'incredulità e all'esasperazione più prosaica.
Il personale dell'agenzia ha liquidato la faccenda con una spiegazione che definire fumosa sarebbe un complimento: un errore negli orari, una confusione nelle modalità. Tradotto dal burocratese: abbiamo smarrito vostro marito tra un cataletto e l'altro, ma non disperate, lo recupereremo. La disinvoltura con cui è stata gestita la débâcle rasenta il grottesco, come se confondere le salme fosse un contrattempo veniale, un'inezia da derubricare con un'alzata di spalle.
George Levario, zio dell'introvabile Joseph, ha metabolizzato la notizia nel modo più drammatico possibile: un infarto in piena regola. Il cuore gli si è fermato davanti all'ennesima dimostrazione che l'inefficienza umana non conosce requie nemmeno di fronte alla morte. Tre giorni di coma farmacologico e respirazione assistita sono stati il prezzo da pagare per aver osato partecipare a quello che avrebbe dovuto essere un rito funebre e si è invece tramutato in una farsa macabra. Praticamente, per poco non si è aggiunto un secondo feretro alla cerimonia, trasformando la veglia in un'offerta due-per-uno di stampo commerciale. La famiglia ha ora sporto denuncia presso la Corte Superiore della Contea di Los Angeles per negligenza, inadempimento contrattuale e inflizione di stress emotivo.
Capi d'accusa che appaiono persino riduttivi di fronte alla portata dello scempio. La vedova Espinoza e i suoi congiunti reclamano un risarcimento, nella consapevolezza che nessuna somma potrà mai compensare l'oltraggio di aver pianto sulla bara sbagliata mentre il proprio caro giaceva chissà dove, probabilmente etichettato con il nome di qualcun altro in un girotondo di cadaveri mal custoditi. Forest Lawn tace, arroccata in un silenzio che sa di imbarazzo e inadeguatezza. L’azienda, il cui core business consiste - testuale - nel gestire cadaveri, è riuscita nell’impresa epocale di perderne uno nel bel mezzo della cerimonia a lui dedicata.
Un paradosso degno di Ionesco: il morto che si dilegua dal proprio funerale, sostituito da un sosia postumo non richiesto, come se ci fosse stato un casting dell’aldilà e qualcuno avesse sbagliato controfigura. A questo punto, tanto vale trasformare il disastro in business model: basta funerali tradizionali, largo al “Funerale esperienziale”, versione luttuosa della cena con delitto o della caccia al morto, pardon, al tesoro. Con tanto di colpi di scena, indizi tra i fiori e finale a sorpresa. Possibilmente non con l’ospite d’onore in fuga.