Se il vino potesse davvero allungare la vita, il ministro Francesco Lollobrigida sarebbe ormai destinato all’immortalità. E non perché beva — questo non ci è dato sapere —, ma perché della bevanda di Bacco si è fatto instancabile apostolo, paladino, portavoce e, all’occorrenza, sommelier da conferenza stampa. L’occasione, questa volta, è stata la presentazione alla stampa estera del docufilm Divinazione Expo 2024, un titolo che già da solo pare suggerire la rivelazione di qualche verità suprema. Ed ecco infatti il ministro, nel pieno del suo fervore oracolare, svelare l’arcano dietro il crollo dei consumi vinicoli in Italia: la criminalizzazione del vino.
Lollobrigida e il miracolo di Bacco: “Il vino allunga la vita”
A detta di Lollobrigida, infatti, il motivo per cui gli italiani bevono meno non sarebbe l’aumento dei prezzi, la crisi economica, o i mutamenti generazionali, bensì una setta di “indemoniati” — termine tecnico, evidentemente — che ogni mattina infestano giornali e coscienze ricordando che l’alcol, incredibile, ma vero, potrebbe nuocere alla salute.
“Se tutte le mattine ti alzi e leggi qualche indemoniato che ti dice che il vino ti uccide, tu pure se ti piace non lo bevi più”, ha affermato il ministro, con la schiettezza di un oste di campagna e l’autorevolezza di un ministro della Repubblica.
Poi, il coup de théâtre: “Una nazione che ha da 4.000 anni il vino nella sua alimentazione è la più longeva d’Europa, mentre quelli che non ce l’hanno vivono di meno”. Nessun bisogno di dati, studi, bibliografie: la logica, dice lui, è “banalmente logica”. Che altro serve? D’altronde, anche le fate esistono, se uno ci crede abbastanza.
Ora, tralasciando l’evidente scivolata nell’alchimia spicciola, il dato economico riportato è reale: l’Italia ha raggiunto un record storico nell’export vinicolo, con 8,1 miliardi di euro. E su questo niente da dire: il vino è un’eccellenza nazionale, dà lavoro, rappresenta territori e tradizioni. Ma l’equazione vino = longevità, spacciata con leggerezza accademica, meriterebbe un brindisi solo per il coraggio retorico. Lollobrigida però non molla l’osso, pardon, il calice: “Criminalizzare il vino può fare più danni di qualsiasi dazio”. Frase forte, detta con la foga di chi vede nella Diet Coke il cavallo di Troia dell'impero americano. Una vera guerra santa contro chi osa ricordare che l’alcol, anche se in bottiglie eleganti e con etichette d’oro, resta pur sempre una sostanza con effetti collaterali.
Ma vuoi mettere l’eleganza di un bicchiere di Barolo con la grossolanità di un avviso del Ministero della Salute? La comunità scientifica, a margine, tenta timidamente di ricordare che l’abuso di alcol provoca danni reali, e che anche il consumo moderato non è esente da rischi. Ma di fronte alla “banale logica” del ministro, ogni studio pare superfluo.
L’Oms tace, la medicina si inchina, e i ricercatori forse dovrebbero dedicarsi a qualcosa di più utile, come l’accoppiamento dei tannini con i tortellini. Il problema, però, non è la difesa del vino in sé — su questo, anche i più astemi potrebbero comprendere la necessità di tutelare un settore trainante dell’economia — quanto il tono da crociata mistica con cui viene presentata una questione che richiederebbe invece sobrietà, misura, e magari qualche dato più solido della genealogia enologica di Homo Sapiens. Certo, il declino dei consumi interni è un fatto. Ma parlare di “criminalizzazione” del vino significa arruolare le cautele sanitarie tra le fila degli eretici. È come se ogni spot sulla prevenzione del tumore al fegato fosse un attacco diretto alla civiltà italica, un insulto al Brunello e una pugnalata al cuore dell’identità nazionale.
Lollobrigida, da par suo, prosegue indisturbato nella sua narrativa: difendere il vino diventa sinonimo di difendere l’Italia, come se scegliere l’acqua frizzante al ristorante equivalesse a bruciare la Costituzione. In questo affresco vagamente tragicomico, la complessità del dibattito sulla salute pubblica viene ridotta al rango di fastidiosa ubbia da puritani nordici. Nel frattempo, mentre il ministro combatte i suoi indemoniati immaginari, il settore agricolo italiano aspetta interventi strutturali, il cambiamento climatico erode le produzioni, e i giovani smettono di bere — forse non perché “spaventati”, ma semplicemente più consapevoli. Alla fine, resta solo una certezza: nel grande varietà della politica italiana, Francesco Lollobrigida è il tenore che canta in osteria, con in mano un calice colmo di retorica frizzante e una melodia tutta sua. Non sarà scienza, ma almeno fa spettacolo. E tanto basta, pare, per brindare ancora. Prosit! E che Dio ce la mandi buona, e possibilmente in bottiglia DOP.