Ambiente & Sostenibilità

Forum nazionale Acqua, allarme Legambiente: dal 2017 oltre 140 eventi di siccità in Italia

Redazione
 
Forum nazionale Acqua, allarme Legambiente: dal 2017 oltre 140 eventi di siccità in Italia

L’Italia, crocevia del Mediterraneo e uno degli hotspot climatici più vulnerabili del continente, continua a pagare un prezzo altissimo alla crisi climatica. A renderlo evidente è il nuovo rapporto di Legambiente, che verrà presentato oggi a Roma nel corso della settima edizione del Forum nazionale Acqua dal titolo “La resilienza idrica in Italia”, organizzato in collaborazione con Utilitalia.

 

Forum nazionale Acqua, l'allarme di Legambiente

 

Il quadro che ne emerge è quello di un Paese in balia di emergenze idriche gestite spesso in modo frammentato e privo di una visione complessiva. Tra siccità, alluvioni e acque inquinate, la Penisola vive ormai in una condizione di vulnerabilità strutturale, aggravata da una governance inefficace e da investimenti che faticano a produrre risultati concreti.

 

Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, dal 2017 al 22 settembre 2025 si contano 142 eventi di danni legati alla siccità, tra perdite agricole, interruzioni nella distribuzione dell’acqua potabile e riduzione del bestiame. Nel 18% dei casi si è arrivati a introdurre restrizioni sull’uso dell’acqua, con conseguenze per i settori civile, agricolo, industriale e zootecnico.

 

Un dato ancora più preoccupante è che il 75% di questi eventi si è concentrato negli ultimi quattro anni, segno di un fenomeno sempre più diffuso e frequente. Tra la primavera del 2022 e i primi mesi del 2023 le perdite economiche dovute alla siccità nel solo comparto agricolo sono state stimate in oltre 6 miliardi di euro, come rileva il rapporto Water Economy in Italy 2023. Alla mancanza d’acqua, tuttavia, si affianca il suo opposto: troppa acqua in poco tempo.

 

Secondo i dati della Protezione Civile, tra il 2013 e il 2022 sono stati dichiarati 179 stati di emergenza legati a eventi idrogeologici e idraulici, con danni complessivi superiori ai 15 miliardi di euro, a cui si aggiungono le perdite ancora da quantificare per le alluvioni che nel 2023 hanno colpito Emilia-Romagna, Toscana e Marche.

 

Nemmeno la qualità delle acque offre consolazioni: sebbene il 75,1% delle acque superficiali e il 70% di quelle sotterranee risultino in buono stato chimico (nel periodo 2016-2021), restano aree critiche che rischiano di peggiorare nei prossimi anni. Entro il 2027, si prevede che il 30% dei corpi idrici superficiali e circa il 27% di quelli sotterranei non sarà in buone condizioni. A pesare, oltre all’inquinamento da nutrienti agricoli e reflui urbani, sono anche le alterazioni idromorfologiche, le estrazioni e la presenza di specie aliene invasive che modificano gli equilibri ecologici.

 

Di fronte a questa situazione, Legambiente lancia un appello al Governo Meloni chiedendo una Strategia nazionale per la risorsa idrica, in linea con la Strategia europea per l’acqua adottata lo scorso giugno. L’associazione ambientalista propone dieci interventi prioritari per superare la logica emergenziale e costruire un modello di gestione integrata che coinvolga istituzioni, esperti, imprese e società civile. Tra le misure indicate figurano il pieno recepimento delle direttive europee su acque e alluvioni, l’adozione del decreto per il riutilizzo delle acque in ambito irriguo, industriale e civile, la riduzione dei consumi e il miglioramento dell’efficienza idrica. Legambiente chiede inoltre piani strutturali contro siccità e alluvioni condivisi con i territori, un rafforzamento dei controlli su scarichi e usi idrici nei vari settori produttivi, e investimenti mirati per ammodernare reti fognarie e impianti di depurazione, anche in vista della piena applicazione della nuova Direttiva europea 2024/3019.

«La crisi climatica, i depuratori inefficienti, le reti colabrodo e le mancate bonifiche dei siti contaminati che pesano sulle acque sotterranee – ricorda Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente (in foto) – ci impongono di affrontare con urgenza le criticità e adottare una governance integrata delle risorse idriche. La resilienza idrica deve diventare un tema centrale dell’agenda politica italiana». I costi dell’inazione sono già altissimi. Secondo uno studio dell’Università di Mannheim e della Banca Centrale Europea, la siccità del 2025 provocherà una perdita complessiva di 6,8 miliardi di euro, cifra destinata a salire a 17,5 miliardi nel 2029.

A questi si sommano i 210,5 milioni di euro già pagati dall’Italia in multe per la mancata applicazione della Direttiva sulle acque reflue, e altri 300 milioni che dovranno essere versati entro il 2030. Eppure, con quegli stessi fondi si sarebbero potuti ammodernare impianti e infrastrutture, adeguandoli agli standard europei. Non meno allarmante è il bilancio della prevenzione del dissesto idrogeologico: tra il 1999 e il 2024 sono stati spesi 20,48 miliardi di euro per oltre 25.900 interventi, ma solo il 35,7% dei lavori è stato completato, per una spesa di circa 5,57 miliardi.

Un impegno economico ingente che, tuttavia, non ha impedito l’aumento del rischio idrogeologico nel Paese, come evidenziano i dati dell’Ispra. Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) fatica a produrre risultati tangibili. Dei 5,3 miliardi di euro stanziati per la riduzione delle perdite di rete, la digitalizzazione e l’ammodernamento degli impianti, solo il 2% dei progetti risulta completato e appena la metà è in fase di collaudo, secondo l’ultimo Position Paper del Laboratorio REF Ricerche. Eppure, gli esempi virtuosi non mancano. Legambiente cita tre modelli di resilienza idrica che dimostrano come la collaborazione tra enti pubblici e privati possa funzionare.

Il lago d’Orta, un tempo tra i più inquinati d’Europa, oggi è rinato grazie a un progetto di risanamento che coinvolge oltre 130 soggetti. A Fasano-Forcatella, in provincia di Brindisi, un impianto di depurazione attivo dal 2007 recupera le acque reflue per destinarle a cinquanta aziende agricole, e nei periodi di bassa richiesta contribuisce alla ricarica della falda per contrastare l’intrusione marina.

A Milano, infine, il Progetto Spugna prevede novanta interventi basati sulla natura per ridurre inondazioni e trattenere l’acqua nei periodi siccitosi: quarantotto cantieri sono già conclusi, quattordici sono aperti e ventotto in partenza. «Gli effetti dei cambiamenti climatici – osserva Annamaria Barrile, direttrice generale di Utilitalia – sono ormai una nuova normalità. Ci sono territori del Sud che da tre anni vivono in stato di severità idrica elevato. La resilienza idrica è diventata una priorità assoluta per le utilities, che devono concentrarsi su tre fronti: manutenzione degli invasi, interconnessioni tra gli acquedotti e utilizzo di risorse complementari come il riuso e la dissalazione».

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