Di fronte a un panorama digitale sempre più affollato, dove la vita privata diventa merce e la visibilità social si trasforma in profitto, c’è chi ha deciso di vigilare. O almeno così sostiene. È il caso di Tattle Life, un forum britannico nato per discutere – e spesso demolire – la vita degli influencer.
Il lato oscuro del gossip online: nel mirino per presunti abusi e campagne d’odio
Ma dietro la patina della "critica legittima" si nasconde, secondo molti, una realtà ben più torbida: una piattaforma che, sotto il velo dell’anonimato, ha alimentato campagne di odio, diffamazioni e vere e proprie persecuzioni digitali.
In un’inchiesta pubblicata dalla BBC nel podcast The State of Us dello scorso 17 giugno e poi ripresa online, si getta luce sull’oscuro ecosistema di Tattle Life, sito visitato da oltre 11,5 milioni di utenti al mese – per lo più britannici – e finito al centro di un acceso dibattito etico e legale.
Tattle Life si difende, rivendicando il diritto di esprimere opinioni sugli influencer che “monetizzano la propria vita privata in un settore non regolamentato”. Ma le storie emerse raccontano ben altro.
Emily Clarkson, figlia del conduttore Jeremy Clarkson, ha denunciato come il forum abbia annunciato la sua gravidanza prima che lei stessa la rendesse pubblica, diffondendo anche commenti spregevoli sul suo aspetto nel giorno delle nozze. Un’esperienza che – ha dichiarato – l’ha spinta in terapia.
L’influencer Carly Rowena ha raccontato che, quando suo figlio è stato ricoverato in ospedale, su Tattle Life è comparsa una valanga di messaggi accusatori: "La gente diceva che era tutta colpa mia", ha spiegato alla BBC. In sei anni, ha aggiunto, il sito ha diffuso dettagli personali come il suo indirizzo di casa e quello dei suoi genitori. "Questo non è semplice trolling: è persecuzione".
Stessa denuncia da parte di Caroline Hirons, guru della cosmesi con milioni di follower, che ha visto pubblicare foto private dei suoi nipoti e documenti personali. "Non c’è alcun interesse pubblico nel postare immagini dei miei familiari. È una violenza travestita da critica".
Al centro del problema, secondo molte delle vittime, c’è l’anonimato, che permette a chiunque di commentare senza esporsi. L’influencer Lydia Millen, tra le più bersagliate sul sito, ha affermato: "Hai diritto alla tua opinione, ma non all’anonimato. Questo ti pone al di sopra della legge".
Da cinque anni, dice, subisce “trolling quotidiano” e vive nel timore per la sicurezza della sua famiglia. Anche Jen Graham propone una soluzione drastica: verificare l’identità degli utenti con documenti o selfie. “Se sei crudele, devi essere rintracciabile e punibile”, ha detto, ricordando quanto un thread contro di lei l’abbia devastata psicologicamente per un mese intero.
La battaglia contro l’anonimato online è condivisa anche da Katie Price, volto noto della TV britannica, che da anni si batte per l’introduzione di reati specifici legati all’abuso online e che ha provato a intraprendere un’azione legale contro Tattle Life. Senza successo, dal momento che la polizia ha ammesso di non riuscire a identificare gli autori dei commenti.
C’è poi un’altra questione spinosa: per anni si è ignorato chi fosse il vero amministratore del sito. Ma una recente causa per diffamazione e molestie intentata da una coppia nordirlandese, Neil e Donna Sands, ha fatto cadere il velo. Dopo anni di abusi e stalking, la coppia ha ottenuto un risarcimento di 300.000 sterline e ha contribuito a smascherare Sebastian Bond, noto online come Bastian Durward, presunto creatore e gestore del sito che si nascondeva dietro il falso nome Helen McDougal.
Secondo quanto riferito alla BBC dagli avvocati di Bond, l’uomo sarebbe stato "completamente all’oscuro del procedimento" e la sentenza sarebbe arrivata "in contumacia". Ma i Sands annunciano battaglia: "Abbiamo i nomi utente di chi ci ha diffamato. Li perseguiremo tutti".
Dal canto suo, Tattle Life afferma di avere una politica di tolleranza zero verso i contenuti offensivi, con moderatori attivi 24 ore su 24 e un sistema di segnalazione potenziato. Ma i fatti sembrano smentire questa immagine rassicurante: i thread offensivi vengono costantemente rimossi e poi ripubblicati, in un gioco al massacro che sfugge al controllo.
Il Centre for Countering Digital Hate ha accusato il sito di "monetizzare la crudeltà" attraverso gli annunci pubblicitari, una pratica definita eticamente inaccettabile. Anche Google è intervenuto, limitando la pubblicazione di annunci sulla piattaforma in base alle proprie norme, riducendo così le possibilità di guadagno. Ma il nodo principale resta la mancanza di regolamentazione.
Da marzo, con l’entrata in vigore dell’Online Safety Act, Ofcom – l’ente regolatore britannico – ha avviato un’indagine su tredici piattaforme, Tattle Life inclusa. L’autorità ha avvertito: chi non adotterà misure efficaci per proteggere gli utenti dai contenuti illegali andrà incontro a sanzioni. Un caso, quello di Tattle Life, che impone anche qui una riflessione più ampia su quale tipo di società digitale vogliamo costruire.
Perché se da una parte è giusto che chi monetizza la propria visibilità sia soggetto a critiche, dall’altra quando la critica si trasforma in accanimento, violazione della privacy e aggressione psicologica, si oltrepassa un confine pericoloso. Con il paradosso che, mentre influencer e celebrità sono sempre più esposti, chi li attacca resta invisibile in uno squilibrio di potere che non ha nulla a che vedere con la libertà di parola, e che rende quanto mai urgente una risoluzione del problema dando finalmente ai tanti, troppi, leoni da tastiera un volto, con relative conseguenze.