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Gaza, Sulala Animal Rescue: il rifugio dove uomini e animali dividono l'ultimo pasto

Redazione
 
Gaza, Sulala Animal Rescue: il rifugio dove uomini e animali dividono l'ultimo pasto

In guerra, si sa, le gerarchie della sopravvivenza crollano. Quando manca il cibo, le distinzioni diventano fragili e ciò che resta è una scelta semplice e al tempo stesso durissima: condividere o no. E così quando un uomo guarda negli occhi un animale che si fida di lui e decide di dividere l'ultimo pugno di riso, quel confine netto tra umano e non-umano si dissolve.

Gaza, Sulala Animal Rescue: il rifugio dove uomini e animali dividono l'ultimo pasto

Resta solo la fame, uguale, e la scelta di non voltarsi dall'altra parte. Saeed Al-Aar lo sa bene.
Da quasi vent'anni gestisce il rifugio Sulala Animal Rescue nella Striscia di Gaza, e da quando è iniziato il conflitto quella scelta la fa ogni giorno.
"Non puoi guardare una creatura che si fida di te e mangiare di fronte a lei senza condividere", dice a NBC News. Una frase semplice, disarmante nella sua evidenza morale, che racconta più di mille analisi geopolitiche cosa significhi vivere sotto le bombe quando anche respirare è un privilegio.

Il rifugio è poco più di una tenda a Deir al-Balah, un lembo di terra che resiste mentre tutto intorno crolla. Dentro ci sono circa 70 cani e 50 gatti, molti con tre zampe, cicatrici fresche, occhi spenti dalla paura. Alcuni sono stati abbandonati dalle famiglie in fuga, altri feriti dalle schegge o dalla fame.

Il dottor Hossam Mortaja, uno dei pochissimi veterinari rimasti a Gaza, lavora con quello che trova: medicine scadute, antibiotici per uso umano come l'amoxicillina quando le scorte veterinarie finiscono. In una tenda allestita come sala operatoria di fortuna, lui e i volontari inseriscono flebo nelle zampe di cuccioli che piangono, improvvisano cure, resistono. "Gli animali soffrono come gli esseri umani: provano paura, persino convulsioni", dice Mortaja.

Non è retorica, ma cronaca clinica. I referti parlano di cachessia (deperimento estremo), di sistemi immunitari al collasso, di parvovirus, anemia, gastroenterite, ittero. Malattie che proliferano dove la guerra ha spazzato via ogni forma di normalità. I numeri raccontano una strage silenzioso.

Secondo l'Euro-Med Human Rights Monitor, il 97% del bestiame della Striscia è stato distrutto: mucche, pecore, capre, pollame cancellati da bombardamenti, carestia, saccheggi. Gli animali di grossa taglia - asini e cavalli - sono scesi al 30% di quelli che c'erano prima. E poi ci sono i randagi, i dimenticati, quelli che non producono latte né carne ma che qualcuno, inspiegabilmente, continua ad amare.

"Le persone cercano conforto negli animali", dice ancora Al-Aar a NBC. "Durante la guerra, ho visto molte persone prendersi cura e dare rifugio agli animali, sia cani che gatti. Ci hanno contattato e noi abbiamo costantemente fornito loro cibo". Nei momenti di maggiore carenza di aiuti, il team di Sulala ha condiviso con gli animali il poco che aveva: riso, pasta, tonno in scatola. Una misura disperata per evitare che morissero di fame. Ma anche, forse, per evitare di perdere qualcosa di più prezioso del cibo: la capacità di restare umani.

Del resto la guerra non fa sconti. A ottobre, mentre era in vigore un fragile cessate il fuoco, il veterinario Muath Talat Abo Rokba, che collaborava con Sulala e gestiva una propria clinica, è stato ucciso dalle forze israeliane mentre visitava le rovine della sua casa a Jabalia, vicino alla cosiddetta "linea gialla" che delimita il territorio controllato da Israele. L'IDF ha dichiarato a NBC News di non essere a conoscenza dell'incidente specifico. "Non abbiamo parole per la sua perdita", ha detto Annelies Keuleers, volontaria belga e portavoce del rifugio. "Per molti versi, era assolutamente insostituibile".

Keuleers segue il rifugio da lontano, attraverso messaggi e foto che arrivano da Gaza quando la connessione regge. La pagina Instagram di Sulala ha raccolto 180.000 follower, molti occidentali, che seguono con ansia gli aggiornamenti su Al-Aar, i suoi figli, gli animali salvati. "Ci sono state un paio di occasioni in cui non ho avuto notizie di nessuno per un giorno o un giorno e mezzo", racconta. "Ed è stato spaventoso, perché non ero sicura di come avrei potuto sapere se erano stati bombardati o uccisi". Saeed e i suoi ragazzi si sono trovati più volte in situazioni pericolose nel tentativo di recuperare animali abbandonati durante le evacuazioni, bestie che stavano morendo di fame in zone inaccessibili.

Il cessate il fuoco ha portato qualche miglioramento. L'Integrated Food Security Phase Classification, la principale autorità mondiale sulle crisi alimentari, segnala che le condizioni di carestia a Gaza City si sono attenuate rispetto ai mesi più bui. Ma la situazione resta critica, l'intera Striscia è ancora a rischio fame. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito all'inizio di questo mese che "i bisogni umanitari restano sconcertanti, e l'assistenza attuale si limita a soddisfare i bisogni più basilari di sopravvivenza". E Lucia Elmi, dell'UNICEF, avverte: i fragili progressi "potrebbero svanire da un giorno all'altro se i combattimenti dovessero riprendere". Serve accesso umanitario duraturo, servizi di base ripristinati. Serve, soprattutto, una pace duratura.

Eppure, in mezzo a tutto questo, c'è chi continua a occuparsi di cani randagi e gatti feriti. C'è chi divide il proprio piatto con un cucciolo che trema di paura. C'è chi sceglie, ogni giorno, di non guardare altrove. E no; non è distrazione dalle tragedie umane che riempiono ogni angolo della Striscia. È, forse, l'unico modo per non perdere del tutto la bussola morale. Per ricordare che la compassione non esclude ma include. Non si esaurisce, non si divide in compartimenti stagni. Perché prendersi cura di un cane emaciato non toglie nulla alla sofferenza di un bambino ferito, ma aggiunge qualcosa di essenziale: la consapevolezza che la vita, tutta la vita, merita rispetto.

"Vivono nella paura e nell'orrore, proprio come noi", ricorda Al-Aar. E in quella frase c'è tutto: la guerra che non distingue, la paura che accomuna, la scelta ostinata di non arrendersi alla brutalità. In una tenda a Deir al-Balah, dove manca tutto tranne la dignità, un uomo divide il suo riso con un cane che si fida di lui. E in quel gesto minuscolo, dimenticato, c'è forse l'unica cosa che vale la pena salvare da questa guerra: la capacità di restare umani anche quando il mondo intero sembra aver deciso il contrario.

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