C'è stato un tempo - lo diciamo per i più giovani e per chi ha, per certe cose, una memoria corta - in cui i magistrati facevano della riservatezza il canone principale delle loro azioni. Riservatezza in virtù del delicatissimo ruolo che svolgono in nome e per conto della Giustizia; riservatezza anche per garantire il cittadino della loro imparzialità davanti a fatti che devono essere giudicati per quel che sono e non alla luce di ideologie o preconcette tesi.
Inchiesta sui fondi ad Hamas: la magistratura faccia il suo lavoro e lasci il resto agli altri
Quel tempo è finito quando la Procura di Milano, pur di fare pulizia nel verminaio della politica, decise di manifestarsi, di mostrarsi, di diventare, essa stessa, ''personaggio'' facendo dei suoi pm il braccio mediatico delle inchieste.
È stato quello il punto di passaggio, il Rubicone, con i magistrati a mostrarsi davanti alle telecamere, ai registratori o, per i giornalisti della vecchia scuola, ai taccuini per dire la loro, mettendo da parte ogni remora.
Una scelta che per qualcuno ha pagato personalmente, regalandogli una esposizione e quindi una fama nazionale e consentendogli di traghettarsi nelle file di quella politica che in qualche modo avevano contribuito a disintegrare.
Da ''Mani pulite'' in avanti ogni pm si è sentito autorizzato ad apparire, tirandosi dietro anche le forze dell'ordine che, per adeguandosi all'andazzo, hanno anch'esse ceduto al fascino dell'immagine. Per questo non sorprende, ma sino ad un certo punto, che la chiosa del procuratore nazionale anti-mafia, Giovanni Melillo (in foto), per commentare i primi risultati di una inchiesta sui soldi che, raccolti in campagne solidali in Italia a favore dei palestinesi, siano finiti - secondo l'accusa direttamente ad Hamas, non certo per finanziare gli aiuti alla popolazione stremata dal conflitto.
Melillo ha ritenuto di andare oltre al commento sull'inchiesta, aggiungendo una considerazione importante:
“Le indagini e i fatti emersi non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal Governo di Israele, per i quali si attende il giudizio da parte della Corte Penale Internazionale, da rendersi in conformità allo Statuto di Roma, ratificato da 125 Stati Membri, fra i quali, in un ruolo di impulso e sostegno, l'Italia".
''Allo stesso tempo - ha aggiunto - tali crimini non possono giustificare gli atti di terrorismo (compresi quelli del 7 ottobre 2023) compiuti da Hamas e dalle organizzazioni terroristiche a questa collegate ai danni della popolazione civile, né costituirne una circostanza attenuante. Per la giurisprudenza di legittimità costituiscono, infatti, atto terroristico le condotte che, pur se commesse nel contesto di conflitti armati, consistano in condotte violente rivolte contro la popolazione civile, anche se presente in territori che, in base al diritto internazionale, devono ritenersi illegittimamente occupati''.
Ora, partendo dal presupposto che le argomentazioni di Melillo sono tutte da condividere e sottoscrivere, quello che resta inspiegabile, per chi come noi ha una visione ''romantica'' della magistratura - quella che veste solo la toga e nessuna casacca -, è che il vertice dei giudici inquirenti in materia di reati di mafia e di tutti quelli che attentano alla sicurezza nazionale faccia delle considerazioni politiche, non limitandosi al suo ruolo.
Perché, con l'inchiesta di Genova (e che coinvolge anche altre procure) che riguarda specifici reati, quel che fa Israele - sebbene inqualificabile, sebbene indegno di un Paese che si picca d'essere democratico e civile - non c'entra nulla, se non come giustificazione sia pure indiretta agli atti e agli obiettivi contestati agli indagati.
Anche se non era sicuramente questo l'intento di Melillo, le sue parole, ripetiamo condivisibilissimi in un altro contesto, pronunciate mentre l'inchiesta è ancora in corso, potrebbero essere giudicate come giustificazioniste, quando invece non lo sono.
Se le considerazioni fossero stata fatte sganciandole dall'inchiesta nessuno avrebbe potuto dire nulla. Però, se le fai mentre ancora gli arrestati hanno le manette ai polsi, tutto appare come una immagine appannata di una magistratura che dovrebbe essere aliena dalla contaminazioni politiche o ideologiche, che è poi quello che si aspetta la gente.
La magistratura - e diciamo questo non certo accreditando la tesi della destra, che parla di politicizzazione quando le sentenze sono diverse da quelle che spera - non ha bisogno di meritare rispetto e considerazione, perché sono cose che connotano il suo ruolo. A patto che faccia il suo mestiere.