Economia

Finanza alternativa, venture capital e PMI. L’Italia tra potenzialità inespresse e riforme in cantiere

Luca Andrea
 
Finanza alternativa, venture capital e PMI. L’Italia tra potenzialità inespresse e riforme in cantiere

Nel 2024 il mercato della finanza alternativa italiano ha mostrato segnali di vitalità, ma anche profonde discontinuità strutturali. È quanto emerge dal nuovo paper del Centro studi di Unimpresa, che delinea un quadro nel quale il flusso lordo delle emissioni obbligazionarie da parte delle imprese italiane – incluse le controllate estere – ha superato quota 90 miliardi di euro.

Finanza alternativa, venture capital e PMI. L’Italia tra potenzialità inespresse e riforme in cantiere

Un traguardo apparentemente significativo, ma che nasconde un’evidente concentrazione: oltre due terzi del totale è stato collocato da pochi grandi gruppi, mentre si riduce la presenza di aziende esordienti nei mercati dei capitali.

Nel frattempo, il mercato azionario ha registrato una flessione: appena 20 nuove ammissioni a fronte di 27 revoche, spesso da parte di società del listino principale. Il saldo negativo si accompagna a una perdita di oltre 100 miliardi di euro in capitalizzazione delle imprese non finanziarie tra il 2021 e il 2024. Un segnale chiaro: la borsa italiana fatica a essere vista dalle aziende come leva strategica per la crescita.

Se la borsa frena, è il private equity e soprattutto il venture capital a prendere il testimone. Secondo Invest Europe, nel 2024 sono stati investiti oltre 8 miliardi di euro in circa 400 aziende, con un ticket medio di poco superiore ai 20 milioni. Negli ultimi dieci anni il comparto ha visto un’espansione significativa in Italia, ma resta distante dai livelli dei principali paesi europei.

Tre i principali ostacoli:

1) Scarso numero di startup innovative con modelli di business scalabili.
2) Operatori troppo piccoli per attrarre capitali su larga scala.
3) Difficoltà nella fase di disinvestimento, frenata da normative frammentarie e mercati poco liquidi.

In risposta, la Commissione Europea ha lanciato nel 2025 un pacchetto di riforme per rafforzare il capitale di rischio e promuovere un’integrazione più fluida dei mercati finanziari europei. Le misure includono:

Trattamenti prudenziali più favorevoli per gli investitori istituzionali.
- Sostegno ai programmi della BEI.
- Incentivi per l’allocazione di capitali privati verso imprese innovative.

In parallelo, l’Italia si muove: entro marzo 2026, il Governo è delegato a riformare il Testo Unico della Finanza. L’obiettivo? Facilitare l’accesso a strumenti finanziari alternativi al credito bancario lungo tutto il ciclo di vita delle imprese.

Ad oggi, la normativa italiana è già allineata agli standard europei in tema di incentivi fiscali al venture capital, con misure a favore degli investimenti diretti in startup e nei fondi di settore. I PIR (Piani Individuali di Risparmio) rappresentano un ulteriore strumento per canalizzare il risparmio verso l’economia reale.

Novità importante del 2024 è anche la legge 193, che obbliga fondi pensione e casse previdenziali a destinare una quota minima delle proprie risorse a fondi di venture capital, pena la perdita di benefici fiscali su investimenti qualificati.

“Il tessuto imprenditoriale nazionale continua a cercare strade nuove per rafforzare la propria solidità finanziaria
– osserva Giovanna Ferrara, presidente di Unimpresa (in foto)– ma è evidente il forte squilibrio tra grandi gruppi, che accedono agevolmente ai mercati dei capitali, e PMI che restano escluse o poco attrattive”.

Ferrara lancia un appello per una finanza “più democratica”, dove il credito bancario non sia l’unica opzione. E aggiunge: “Servono strumenti più accessibili, regole più semplici e una fiscalità che premi chi investe nel futuro dell’economia reale. La riforma del TUF è un’occasione da non sprecare per mettere davvero le PMI al centro delle politiche industriali e finanziarie”.

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