La cultura italiana si trova oggi in un delicato crocevia: cresce la partecipazione, si riempiono teatri e musei, ma la spesa culturale delle famiglie, pur in aumento nominale, perde peso reale nei bilanci domestici. È l’immagine di un Paese che riscopre il valore della cultura come esperienza condivisa, ma che fatica a sostenerla economicamente, stretto tra l’inflazione e la crisi del potere d’acquisto.
Spesa in cultura a -4%. Federculture: IVA al 5% e Fondo dal gioco legale per rilanciare il settore
A delineare questa fotografia è il 21° Rapporto Annuale di Federculture “Impresa Cultura”, che per la prima volta si arricchisce di un’appendice aggiornata, offrendo un quadro puntuale di un sistema culturale in bilico tra rinascita e fragilità. I dati raccontano un’Italia che partecipa, ma non in modo uniforme.
Se in molti settori si è tornati ai livelli pre-pandemici, le disuguaglianze territoriali, sociali e generazionali restano marcate. Nel 2024 la spesa media mensile per ricreazione, sport e cultura si è attestata a 104,96 euro, in aumento dell’1,7% rispetto al 2019, ma in calo reale di oltre il 4% a causa dell’inflazione, che nello stesso periodo ha toccato il +18,5%.
La quota di spesa familiare destinata alla cultura scende così dal 4% al 3,8%. Un segnale chiaro: la cultura resiste, ma si fa più “leggera” nei bilanci delle famiglie, che tendono a selezionare con maggiore attenzione le esperienze da vivere, privilegiando quelle percepite come necessarie sul piano identitario o relazionale. Il divario geografico è evidente: al Nord e al Centro si spendono in media oltre 125 euro al mese, pari al 4,2% del budget familiare, mentre nel Mezzogiorno la cifra si ferma a meno di 70 euro, ovvero il 2,8%. Nei grandi centri urbani la spesa sale a 120 euro, contro i 97 euro dei piccoli comuni.
Anche il livello d’istruzione fa la differenza: le famiglie con un capofamiglia laureato destinano alla cultura 189 euro mensili, contro i 33 euro di chi ha solo la licenza elementare. Non meno rilevante è la composizione familiare: le coppie con figli spendono in media 180 euro, mentre gli anziani soli si fermano sotto i 50. Interessante anche il ruolo della multiculturalità: le famiglie composte solo da stranieri spendono meno della media nazionale (46 euro), ma quelle miste superano il dato complessivo, segno di una crescente integrazione culturale che passa anche attraverso la condivisione di esperienze artistiche e ricreative.
Dopo anni di crisi, il 2024 segna la piena ripresa dello spettacolo dal vivo. Concerti, teatri, cinema e mostre tornano a riempirsi, restituendo vitalità a un settore che si era fermato. Oltre 3 milioni di eventi, 253 milioni di spettatori e 4 miliardi di euro di spesa complessiva certificano la rinascita. A trainare la ripartenza sono soprattutto i concerti pop e rock, che in cinque anni quasi raddoppiano gli incassi, passando da 514 milioni del 2019 a 989 milioni nel 2024. È il segnale di una domanda culturale sempre più legata all’esperienza, alla socialità, al bisogno di condivisione.
Il teatro si conferma un presidio solido, con un pubblico fedele e una spesa media elevata, mentre il cinema fatica ancora a tornare ai livelli del 2019, complice la concorrenza dello streaming e il cambiamento generazionale nei consumi culturali. Anche i musei e i siti archeologici vivono un momento d’oro: nel 2024 60,8 milioni di visitatori hanno varcato le porte dei musei statali, per 382 milioni di euro di introiti, con un aumento del 21,7% rispetto al 2023 e del 57,6% rispetto al 2019. Il Colosseo guida la classifica con un +20% di visitatori rispetto all’anno scorso e un +93,4% rispetto al periodo pre-pandemico, trainando con sé tutto il comparto museale, sospinto dal boom del turismo culturale. Accanto a questa ripresa, il tema dei finanziamenti alla cultura resta centrale. Lo Stato continua a rappresentare il pilastro del sistema culturale, ma il quadro economico è in trasformazione. Il budget del Ministero della Cultura nel 2026 sarà solo il 9% più alto rispetto al 2019, una crescita nominale che, al netto dell’inflazione, riporta di fatto la spesa pubblica ai livelli pre-pandemici. Cresce invece il ruolo degli enti locali: nel 2024 i Comuni rappresentano ormai il 40% della spesa pubblica complessiva in cultura, un aumento del 40% rispetto a cinque anni fa. La loro vicinanza ai territori consente una gestione più mirata, calibrata sulle esigenze delle comunità e sui progetti di valorizzazione del patrimonio. Anche il privato gioca un ruolo sempre più importante. L’Art bonus, nel 2024 al decimo anno di attività, ha registrato un incremento del 54,4% rispetto al 2019, grazie soprattutto alla partecipazione delle imprese, ormai protagoniste del mecenatismo culturale.
Un dato che, secondo Andrea Cancellato, presidente di Federculture (in foto), “rende l’Art bonus uno dei canali più efficaci di investimento privato nella cultura”. Cancellato sottolinea inoltre che “la riduzione dell’IVA sulle opere d’arte dal 22% al 5% rappresenta un primo passo concreto nella giusta direzione: un segnale di attenzione verso un settore che ha sofferto e che può tornare a generare valore. Ma è solo l’inizio. Estendere questa misura a tutti i prodotti e servizi della cultura significherebbe promuovere una fiscalità più equa, incentivare la domanda e rendere la partecipazione culturale davvero accessibile a tutti. La cultura non è un lusso: è una leva strutturale di crescita economica, innovazione e coesione sociale per il Paese”.
E ancora, conclude Cancellato, “affinché possa esercitare pienamente questo ruolo, è però necessario rafforzarne la sostenibilità economica, anche attraverso una più solida alleanza tra pubblico e privato. Negli ultimi anni, la capacità del sistema culturale italiano di attrarre risorse private ha rappresentato un elemento essenziale di equilibrio”. Da qui la proposta di destinare “una quota minima - anche solo l’1% - degli utili del gioco legale al Fondo per la Cultura e all’ampliamento dell’Art bonus”. Una misura che trasformerebbe parte dei proventi del gioco in investimenti per la collettività, “risorse destinate alla creatività, alla formazione e alla tutela del nostro patrimonio. Sarebbe un segnale concreto di come l’economia possa contribuire al bene comune e di come la cultura possa tornare al centro di una politica di sviluppo sostenibile per il Paese”.