Dopo un 2024 da record, il futuro dell’energia nucleare appare tutt’altro che radioso. A segnalarlo è il World Nuclear Industry Status Report, lo studio annuale rilanciato da Ageei, che fotografa lo stato del settore a livello globale e che quest’anno mette in guardia da un rallentamento ormai inevitabile.
Energia nucleare: la quota mondiale scende al 9% e rischia ulteriori crolli
Nonostante la produzione mondiale abbia toccato l’anno scorso il livello più alto di sempre, con 2.677 terawattora generati grazie soprattutto alla spinta cinese, il rapporto avverte che si tratta di un picco destinato a restare isolato. Per mantenere quel traguardo fino al 2030, il pianeta dovrebbe avviare 44 nuove centrali oltre a quelle già programmate, un obiettivo che richiederebbe un ritmo di costruzione mai visto, più del doppio rispetto a quello registrato nell’ultimo decennio. Le ragioni di questo scenario cupo si intrecciano in una tempesta perfetta.
I reattori in funzione, soprattutto in Occidente, stanno rapidamente invecchiando e molti si avvicinano alla fine del ciclo operativo. I nuovi progetti, invece, arrancano sotto il peso di ritardi cronici e costi fuori controllo. Dal 2020 a oggi, quasi tutti i cantieri aperti nel mondo sono stati gestiti da compagnie statali cinesi o russe, mentre l’industria occidentale fatica a portare a termine anche i pochi reattori messi in programma.
A rendere ancora più difficile il futuro dell’atomo è la corsa delle energie rinnovabili, sempre più competitive non solo sul fronte dei costi ma anche su quello dell’innovazione. Nel 2024, gli investimenti in solare, eolico e sistemi di accumulo sono stati ventuno volte superiori a quelli destinati al nucleare e la capacità installata è stata cento volte maggiore.
A questo si aggiunge il crollo dei prezzi delle batterie, scesi di circa il quaranta per cento nello stesso anno, che rende ancora più vantaggiosa la transizione verso un sistema elettrico flessibile e distribuito, capace di superare i vecchi modelli centralizzati basati su carbone, gas e uranio. Neppure i tanto discussi piccoli reattori modulari, gli SMR, riescono a offrire una prospettiva di svolta. Nonostante il flusso crescente di fondi pubblici e privati, nessuno di questi progetti ha ancora preso forma in Occidente. Solo la Cina, per ora, ha due iniziative avviate, ma con dati operativi ancora scarsi e lontani da una vera rivoluzione industriale.