FOTO (Cropped): Cristiano Cani - CC BY 2.0
Esistono luoghi dove la storia si fa carne di pietra, dove il confine tra scienza e mito si dissolve come nebbia al mattino. In Sardegna, isola aspra e remota che custodisce oltre settemila nuraghi - quelle torri a forma di alveare che punteggiano la macchia mediterranea - si nasconde un patrimonio ancora più antico, più misterioso: le domus de janas, letteralmente "case delle fate", necropoli rupestri che nel luglio 2025 hanno conquistato il riconoscimento UNESCO come Patrimonio Mondiale dell'Umanità.
Viaggio nell'anima sotterranea della Sardegna, tra archeologia e leggenda
Sono diciassette i siti insigniti di questo prestigio, ma le camere sotterranee sparse per l'isola superano le tremilaquattrocento unità: un labirinto scavato nella roccia viva dalla civiltà degli Ozieri, popolazione neolitica che tra il 3200 e il 2800 avanti Cristo rappresentò una delle società più sofisticate del Mediterraneo occidentale.
Un popolo che concepiva la morte non come epilogo, ma come soglia verso una nuova esistenza. Andrea Cocco, giornalista della BBC che ha recentemente documentato questo straordinario itinerario archeologico, ha iniziato la sua esplorazione dalla costa settentrionale dell'isola, raggiungendo in camper la Necropoli di Su Crucifissu Mannu, poco distante da Porto Torres.
Qui, sull'altopiano calcareo, ventidue tombe risalenti al IV e III millennio avanti Cristo si aprono attraverso bassi portali scavati direttamente nella roccia. Ad accompagnarlo, la guida Maurizio Melis ha offerto una chiave di lettura che trascende la pura analisi archeologica: ''Per la civiltà di Ozieri - ha spiegato - lo stretto dromos che scendeva nelle tombe era un passaggio liminale attraverso la terra stessa, vista come un grembo, un luogo che accoglie e trasforma''.
Il sito ha restituito tesori che parlano di una cultura complessa: frammenti ceramici, statuette della Dea Madre e, tra i reperti più inquietanti, un cranio appartenuto a un uomo sottoposto a due trapanazioni oltre tremilcinquecento anni fa. Ma, come ha osservato Melis, con una frase che sintetizza perfettamente la duplice anima di questi luoghi: "La scienza spiega molto, ma per molti, queste tombe sono sempre appartenute alle janas''.
Come scrive Cocco, le domus de janas non sono soltanto monumenti funerari: nel folklore isolano, questi spazi ipogei costituiscono le dimore incantate di creature benigne. Le janas, appunto, donne dalla pelle pallida e lunare, spesso vestite di rosso, abili tessitrici di stoffe pregiate intessute con fili d'oro.
Secondo le leggende tramandate oralmente da maestri e anziani, queste fate emergevano dalle loro abitazioni sotterranee con chiome d'argento scintillante, intonando canti ultraterreni, e insegnavano ai mortali l'arte della panificazione. Non mancano racconti più oscuri: narrazioni di umani scomparsi dopo essersi avventurati nelle dimore nascoste di queste entità. Un patrimonio immateriale che si intreccia indissolubilmente con quello materiale, conferendo a questi luoghi una stratificazione di significati che va ben oltre la funzione originaria.
Il percorso documentato da Cocco prosegue verso l'entroterra, dove il paesaggio muta in colline terrazzate coltivate a vigneti e frutteti, fino a Sennori, borgo dalle radici medievali affacciato sul Golfo dell'Asinara. Qui, dietro il Municipio, un piccolo cancello introduce alla Necropoli del Beneficio Parrocchiale: un caso straordinario di convivenza tra modernità e antichità, con abitazioni contemporanee costruite direttamente sopra tombe scavate cinquemila anni fa, i cui ingressi si celano tra fichi, melograni e ulivi.
Elena Cornalis, Assessore alla Cultura di Sennori che ha accompagnato il giornalista attraverso le sale sotterranee, ha illustrato uno degli elementi più significativi: lungo lo stretto dromos, dove la luce diurna si perde nell'oscurità, la sua torcia ha rivelato una protome taurina (la rappresentazione frontale stilizzata di una testa di toro) emergente dalla parete. ''Questo è il cuore della tomba, segno di forza e vitalità'', ha commentato, sottolineando con orgoglio: ''Da quando è stato riconosciuto dall'UNESCO, questo luogo ha rafforzato il legame della nostra comunità con la sua storia''. Il simbolismo taurino attraversa infatti l'intero universo funerario ozieriano: duecentoventi delle domus de janas presentano decorazioni in ocra rossa e motivi legati al toro, animale considerato emblema di rinascita, fertilità e forza, guida divina dei defunti attraverso corridoi dipinti di rosso.
Da Sennori a Ossi, tra falesie calcaree e uliveti, la strada sale verso l'altopiano di Monte Mamas, dove a quattrocentotrenta metri sul livello del mare si distende la necropoli di Mesu 'e Montes. Il sentiero che vi conduce, delimitato da muretti a secco e profumato di elicriso e lentisco, introduce a diciotto tombe progettate come riproduzioni in miniatura delle abitazioni terrene: tetti spioventi, cornici, pannelli, pilastri e false porte che, secondo le credenze degli Ozieri, avrebbero facilitato il transito verso l'oltretomba. All'interno, come ha potuto constatare Cocco, uno stretto ingresso si apre su camere sostenute da pilastri centrali, con pareti incise da geometrie e corna taurine. Una fossa circolare scavata nel pavimento suggerisce la pratica di gesti rituali legati al rinnovamento.
Tracce di ocra rossa permangono ancora aggrappate alla roccia, testimoni silenziosi di cerimonie millenarie. Qui si inserisce una delle leggende più affascinanti: si narra che proprio in queste grotte le janas conducessero una donna per rivelarle il segreto della fermentazione, donandole il frammentu (tradotto: il lievito madre) da condividere con la comunità per la panificazione. Addentrandosi nel cuore della subregione del Goceano, attraverso la foresta di Anela, Cocco ha raggiunto la Necropoli di Sos Furrighesos, scavata nella roccia vulcanica. Diciotto tombe si allineano lungo una parete che si innalza fino a venti metri, disposte su tre livelli del crinale. Il sito vanta la più ricca concentrazione di incisioni preistoriche dell'isola: oltre centoquaranta petroglifi documentati dagli archeologi.
Di fronte all'ingresso monumentale di Sa Tumba de su Re ("la Tomba del Re"), l'archeologa Giuseppa Tanda, che contribuì alla scoperta del sito negli anni Settanta, ha offerto a Cocco una riflessione illuminante sulla spiritualità delle domus de janas: ''La morte faceva parte di un ciclo naturale. La comunità piangeva i defunti e attendeva una nuova nascita per ristabilire l'equilibrio''. L'immaginario di queste incisioni - spirali, motivi a corno - risuona ancora nell'artigianato contemporaneo sardo, perpetuato attraverso tessitura e ceramica: una continuità culturale che attraversa i millenni. Proseguendo verso sud, nell'aspra Barbagia costellata di nuraghi, la necropoli di Brodu ad Oniferi accoglie il visitatore con due aperture scure scavate nella roccia che evocano un volto ancestrale, occhi di pietra che scrutano l'eternità. Sopra le tombe, un nuraghe emerge tra gli alberi, testimoniando la stratificazione delle culture che hanno abitato questi territori. Il capolinea meridionale dell'itinerario conduce agli aridi altopiani del Gerrei, alla Necropoli di Pranu Muttedu nel vasto sito archeologico di Goni.
Qui Cocco ha incontrato Graziano Arba, custode del luogo da quasi trent'anni, la cui testimonianza restituisce la dimensione umana e quotidiana di questi monumenti: «Conosco queste tombe da quando ero bambino. Per noi erano un luogo dove giocare o ripararci quando pioveva», dice. Il suo legame personale con il sito, i cui pascoli familiari includevano alcune di queste tombe quando lo zio faceva il pastore, rappresenta quella continuità tra passato e presente che caratterizza l'identità sarda.
Un’identità che, come sottolinea Cocco a conclusione del suo reportage, è scolpita nella sua stessa roccia in un intreccio indissolubile tra memoria e mito. Luoghi che interrogano, e che sfidano la linearità del tempo. Perché entrare in una domus de janas significa attraversare una soglia che non è soltanto fisica: è varcare il confine tra mondo dei vivi e regno dei morti, tra razionalità archeologica e suggestione folklorica, tra ciò che fu e ciò che continua a essere. E’ lì, in quelle camere scavate nella roccia cinquemila anni fa e dove l'ocra rossa parla ancora di rinascita e le corna taurine promettono forza vitale, che la Sardegna custodisce non soltanto i resti di una civiltà, ma il battito pulsante della propria anima più profonda.