Economia

Dazi USA al 15%: l’impatto sull’Italia sarà contenuto, fino a 7,5 miliardi in tre anni

Redazione
 
Dazi USA al 15%: l’impatto sull’Italia sarà contenuto, fino a 7,5 miliardi in tre anni
Secondo le nuove stime del Centro studi di Unimpresa, l’accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea sui dazi al 15% non rappresenta uno shock sistemico per l’economia italiana, ma un ostacolo gestibile, grazie a esenzioni settoriali, capacità di riassorbimento dei costi e margini di manovra disponibili per imprese e istituzioni. L’impatto diretto sulle esportazioni italiane verso gli USA, inizialmente previsto tra 9,9 e 10,5 miliardi di euro, si ridurrebbe infatti a un intervallo compreso tra 6,7 e 7,5 miliardi di euro, con un effetto sul PIL nazionale contenuto tra -0,15% e -0,4% nel triennio 2025–2027.

Dazi USA al 15%: l’impatto sull’Italia sarà contenuto, fino a 7,5 miliardi in tre anni

Grazie a possibili esenzioni o trattamenti agevolati per categorie come farmaceutica, semiconduttori, chimica fine e componentistica aeronautica, l’export italiano effettivamente soggetto ai dazi potrebbe ridursi a 45-50 miliardi di euro sui 66-70 miliardi complessivi. In questo contesto, i settori a maggiore esposizione sono:

- Meccanica e macchinari: 27% dell’export USA (stimato dazio teorico: 2,7 miliardi),
- Chimico-farmaceutico: 20% (2,0 miliardi),
- Moda e pelle: 17% (1,65 miliardi),
- Agroalimentare e bevande: 12% (1,2 miliardi),
- Trasporti: 11% (1,05 miliardi),
- Beni di lusso (occhialeria, gioielli, arredo): 9% (0,9 miliardi).

Tuttavia, l’effetto sarà eterogeneo, con maggiore pressione su comparti price-sensitive e minore impatto per prodotti ad alto valore aggiunto o a bassa elasticità di prezzo.

Il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora (in foto), ha sottolineato che il dazio al 15% non è una catastrofe economica ma un compromesso accettabile, che consente di evitare uno scenario più grave, come dazi al 30%. “Le imprese italiane hanno strumenti, mercati alternativi e tempo per assorbire l’impatto della nuova politica commerciale americana,” ha affermato. “La priorità è ora tradurre l’accordo politico in norme operative chiare, rafforzare la diversificazione geografica e sostenere le PMI con misure mirate di supporto finanziario, fiscale e strategico.”

Nel triennio 2025–2027, l’impatto sul PIL italiano dovrebbe rimanere tra -0,15% e -0,4% cumulato, con una perdita contenuta allo 0,1-0,2% nel 2025. Anche l’effetto sull’occupazione sarà inferiore rispetto alle stime iniziali: a fronte di un possibile rischio teorico fino a 118.000 posti, si ipotizza ora un impatto di decine di migliaia di posti di lavoro, grazie a esenzioni, rinegoziazione dei contratti, hedging valutari e possibile rilocalizzazione produttiva in territorio statunitense.

Tre fattori chiave contribuiranno a una gestione ordinata della transizione:

- Certezza regolatoria: la fissazione di un’aliquota chiara e prevedibile consente di adattare prezzi e contratti;
- Diversificazione dell’export: l’Italia può rafforzare la propria presenza in mercati alternativi (Asia, America Latina, Medio Oriente);
- Strumenti di supporto: garanzie SACE, investimenti produttivi negli USA, incentivi fiscali per le PMI e supporto europeo.

L’intesa tra USA e Ue evita scenari di conflitto commerciale e garantisce stabilità normativa, pur a fronte di importanti impegni europei, come l’acquisto di energia, semiconduttori e forniture per la difesa dagli USA e investimenti diretti per 600 miliardi di dollari.
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