Ancora una volta si consuma, in uno scenario tragicomico degno della miglior farsa contemporanea, un duello fra figure emblematiche della miseria del circo mediatico italiano. Uno scontro tra titani del nulla più becero, una rappresentazione surreale che oscilla tra il grottesco e il patetico, riducendo il dibattito pubblico a una rissa da cortile priva di qualsiasi dignità.
Protagonisti di questa teatrale disfida sono Giuseppe Cruciani e il, anzi er, “Brasiliano”: all’anagrafe Massimiliano Minnocci, luminare del pensiero contemporaneo, noto per il suo inestimabile contributo all’elevazione culturale del Paese. In un acceso j’accuse diffuso, udite udite, nientepopodimenoché su TikTok, il Brasiliano si lancia in una filippica dal sapore epico contro il conduttore de La Zanzara, reo, a suo dire, di averlo sfruttato come carne da macello per il proprio spettacolo dell’orrido, salvo poi scaricarlo con la stessa nonchalance con cui si getta un rifiuto organico ormai decomposto.
L’accusa, squadernata con la solennità di un oracolo suburbano, è di quelle destinate a lasciare un'eco sinistra: Cruciani avrebbe usufruito dell'ospitalità domestica del Brasiliano, ma non solo. In un tripudio di dettagli che nessuno aveva chiesto, Minnocci lascia intendere che il loro rapporto sia andato ben oltre le telefonate radiofoniche, tratteggiando un affresco che sembra uscito da un baccanale in salsa trash. Tradito e abbandonato come un fazzoletto lurido dopo un'influenza particolarmente virulenta, l'influencer sfoga il suo risentimento con una veemenza che sa di tragedia da baretto di quart’ordine.
Dal canto suo, il gran cerimoniere dell’indecenza, il maître incontrastato del turpiloquio radiofonico, non poteva certo rimanere in silenzio. Con un tono tra il risentito e il seccato, si premura di precisare di non aver mai abbandonato nessuno, semplicemente perché non ha mai adottato nessuno.
Una puntualizzazione necessaria, parrebbe, in un contesto in cui perfino il concetto di abbandono necessita di una ridefinizione per non naufragare nel nonsense. Siamo, dunque, di fronte all’apoteosi dell’ovvio: Cruciani, vittima designata della sua stessa creatura, sconta le conseguenze di un modello mediatico costruito sulle macerie della decenza. Lui, che ha eretto il suo piccolo impero spalancando le porte della radio ai rigurgiti più deteriori della società, si ritrova con quegli stessi mostri, ben nutriti e ringalluzziti da La Zanzara, reclamare dazio: il loro giusto tributo.
Nulla di sorprendente: chi semina vento, raccoglie tempesta. E chi di “brasiliano” ferisce, di “brasiliano” perisce”: Eppure, la vera domanda da porsi non riguarda tanto Cruciani e i suoi pittoreschi comprimari, quanto piuttosto la degenerazione culturale che ha reso possibile il successo di una trasmissione come La Zanzara: scena dell’osceno, santuario della dissoluzione del limite, tempio della bruttura dove volgarità e ignoranza trovano la loro consacrazione, arena in cui il confine tra pubblico e privato viene abbattuto con sadica compiacenza. Forse non è nemmeno colpa loro.
Forse sono solo la cartina tornasole di un tempo in cui la mediocrità e il pattume sono divenuti linfa vitale del dibattito pubblico. Col senso della vergogna scientificamente demolito, sbriciolato da anni di martellamento mediatico che ha reso l'osceno norma, il volgare pane quotidiano. Un tempo in cui le parole non sono più strumenti di comunicazione, ma armi contundenti, pietre lanciate con precisione chirurgica in una società anestetizzata, incapace di indignarsi e pronta a celebrare il nulla come se fosse oro colato.
E così, in questo desolante scenario, Cruciani gioca d'attacco, vestendo i panni del provocatore anticonformista, mentre in realtà non è altro che il più zelante cane da riporto del potere peggiore, quello che accarezza il rancore e liscia il pelo della rabbia popolare con parole su misura. Un potere che ha elevato a celebrità personaggi che, in un Paese minimamente dignitoso, sarebbero rimasti poco più che pittoresche note di colore ai margini della cronaca locale. Ma se un merito gli va riconosciuto, è quello di aver tracciato con spietata chiarezza il punto esatto in cui la mediocrità si è fatta sistema. Di averci mostrato, senza filtri e senza remore, fino a che punto possiamo scendere. Perché forse non avremo mai un limite, ma un fondale di certo esiste. E Cruciani, con la sua sgangherata compagnia di giro, ce lo ha fatto ammirare in tutta la sua desolante miseria.