Economia

Creator Economy 2025: il 35% degli influencer italiani lavora a tempo pieno

Redazione
 
Creator Economy 2025: il 35% degli influencer italiani lavora a tempo pieno

In Europa, nessuno come gli italiani prende così sul serio il mestiere dell’influencer. Secondo il report Creator Economy 2025 realizzato da Kolsquare – società francese specializzata in influencer marketing e certificata B Corp – il nostro Paese vanta infatti la più alta percentuale di creator digitali a tempo pieno: ben il 35%.

Creator Economy 2025: il 35% degli influencer italiani lavora a tempo pieno

Un dato che fotografa un impegno professionale ormai consolidato, ma che convive con precarietà economiche, disparità di genere e un rapporto ancora complicato con le regole del settore. Lo studio, basato su un campione di circa mille content creator europei con almeno 5.000 follower, ha sondato aspetti cruciali come redditività, gestione dei rapporti con i brand, utilizzo dell’intelligenza artificiale e sistema valoriale, coinvolgendo 14 diversi ambiti professionali.

Una delle caratteristiche che distingue i creator italiani è la forte attenzione all’etica delle collaborazioni. Il 62% sceglie i brand in base alla condivisione di valori, contro un più modesto 36% che invece mette al primo posto il compenso economico. Inoltre, il 70% degli intervistati ritiene che la trasparenza con la propria community sia il pilastro fondamentale per costruire fiducia, mentre più della metà (52%) sottolinea l'importanza della sostenibilità come elemento guida nella creazione dei contenuti. «La trasparenza è in cima alle priorità dei creator in tutta Europa», si legge nel rapporto citato da askanews, con il 68% che dichiara di voler rendere esplicite le collaborazioni. Una tendenza che riflette la volontà di mantenere coerenza con la propria audience, evitando di compromettere la fiducia guadagnata nel tempo.

Nonostante la crescente professionalizzazione del settore, i guadagni restano limitati per la maggioranza. Il 74% dei creator europei guadagna meno di 5.000 euro al mese, e ben il 35% non supera i 1.000 euro. Solo il 4% riesce a sfondare il tetto dei 10.000 euro mensili. La situazione peggiora se si guarda alla questione di genere: le donne hanno il doppio delle probabilità di percepire meno di 500 euro rispetto agli uomini. Una forbice che si allarga anche nelle fasce alte: il 32% degli uomini guadagna più di 3.000 euro al mese, contro appena il 20% delle donne.

Un altro aspetto critico riguarda la normativa. In Italia, più della metà dei creator considera il quadro legislativo troppo complicato o addirittura penalizzante per la creatività. Un 12% ammette candidamente di ignorarne l’esistenza. Solo il 22% riconosce l’utilità delle leggi esistenti, un dato che rappresenta il minimo europeo. Non sorprende dunque che il nostro Paese sia fanalino di coda anche nella gestione autonoma delle collaborazioni: appena il 56% afferma di negoziare e pianificare i progetti in prima persona, mentre in Francia, ad esempio, si sale al 77%. Per il 47% degli intervistati, il futuro è nelle mani dei micro influencer, quei creator con community più piccole ma fortemente ingaggiate. I brand, soprattutto in periodi di crisi economica e budget ridotti, sembrano prediligere figure capaci di generare conversioni reali.

«Tre anni fa solo il 50% dei brand era interessato al modello di affiliazione, oggi la percentuale è salita all’80%», ha spiegato Federico Spinelli, country manager di Kolsquare per l’Italia. «Il vero potenziale risiede nelle nicchie attive, dove la reattività del pubblico è altissima». Instagram si conferma la piattaforma regina in termini di redditività, con il 53% dei creator che dichiara di guadagnare prevalentemente attraverso questo canale. Seguono a distanza TikTok (14%) e YouTube (13%), mentre sorprende il 9% che indica LinkedIn come fonte principale di entrate.

Le collaborazioni a pagamento e i contenuti sponsorizzati restano la modalità più comune di monetizzazione (67%), in particolare in Italia, anche se il nostro Paese è tra i meno attivi nella vendita diretta di prodotti. Più della metà dei creator europei lavora con affiliazioni o su commissione, un trend in forte crescita. Circa un terzo ricava introiti dai programmi di monetizzazione delle piattaforme stesse, un’opzione particolarmente sfruttata in Germania.

In Francia, invece, è ancora diffusa la pratica dello scambio merce: il 69% afferma di aver accettato regali in cambio di contenuti, senza compenso economico. L’80% dei content creator europei utilizza strumenti di Intelligenza artificiale per migliorare il proprio lavoro: ideazione di contenuti, scrittura di testi, editing di immagini, ottimizzazione SEO e previsione delle performance sono solo alcune delle attività automatizzate. Tuttavia, gli stessi strumenti destano anche preoccupazioni. Molti temono che i cambiamenti degli algoritmi e l’evoluzione dell’AI possano compromettere la visibilità o la rilevanza dei propri contenuti nel prossimo futuro.

Un altro dato allarmante riguarda il benessere psicologico: il 65% degli intervistati afferma di sentirsi sotto pressione a causa del lavoro da creator. Tra scadenze ravvicinate, crisi creative e la necessità di restare sempre attivi, molti lamentano uno stress costante. A questo si aggiungono i fenomeni di odio online: un terzo dei creator europei ha subito attacchi o molestie. In Italia, i commenti più diffusi riguardano l’orientamento sessuale, la religione, le opinioni politiche o le scelte professionali. Le donne sono particolarmente esposte a body shaming (52%) e insulti sessisti (48%). Se da un lato il rapporto con i brand non è privo di attriti – due creator su tre denunciano ritardi nei pagamenti e richieste eccessive – dall’altro emerge anche un certo rispetto reciproco: il 63% afferma di non aver mai ricevuto comunicazioni offensive, e solo il 15% si è detto infastidito dalla richiesta di condividere i propri dati. I problemi più sentiti riguardano invece la proprietà intellettuale, in particolare l’uso non autorizzato di contenuti, le licenze musicali e la violazione dell’immagine personale.

Nonostante tutto, la creazione di contenuti è ancora percepita come attività secondaria: solo il 28% la considera un lavoro a tempo pieno. Molti svolgono altre professioni, spesso comunque legate al mondo digitale e alla comunicazione. Le donne, pur essendo maggioranza nel settore, restano meno rappresentate nelle fasce di reddito più alte e meno inclini a fare del content creation la loro unica occupazione. Lo scenario che emerge, come osserva Spinelli, «rivela più elementi comuni che differenze tra i mercati europei», segno che alcune tendenze si stanno consolidando ovunque. Tra queste, l’attenzione crescente ai micro creator, la centralità dell’etica e l’espansione dei modelli di monetizzazione.

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