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Kevin Costner nella bufera per una scena di stupro non autorizzata

Barbara Leone
 
Kevin Costner nella bufera per una scena di stupro non autorizzata

Quando il nome di Kevin Costner torna a fare notizia, ci si aspetta l’annuncio di un trionfo al botteghino o l’arrivo di un nuovo capitolo nell’epica narrativa del West che lo ha reso leggenda. E invece, stavolta, le luci della ribalta illuminano un'accusa tanto seria quanto scomoda. L’attore e regista premio Oscar è finito nel mirino di una denuncia scottante: Devyn LaBella, stuntwoman impiegata sul set di Horizon: An American Saga – Chapter 2, lo accusa di aver orchestrato una scena di stupro improvvisata e brutale, girata senza preavviso, senza protezioni e in violazione dei protocolli di sicurezza sul lavoro.

Kevin Costner nella bufera per una scena di stupro non autorizzata

Un’accusa che non riguarda soltanto una violazione contrattuale, ma investe la questione ben più profonda dell’abuso di potere nei meccanismi dell’industria cinematografica. Secondo quanto riportato nei documenti legali, la scena sarebbe stata ideata e realizzata sul momento da Costner stesso, senza preavviso e senza la necessaria preparazione.

L’attrice titolare, Ella Hunt, avrebbe rifiutato di girarla, e così la produzione avrebbe convocato LaBella in tutta fretta, affidandole il compito in condizioni che lei stessa definisce “umilianti e traumatiche”. “Quel giorno mi sono ritrovata senza protezione, tradita da un sistema che prometteva professionalità e sicurezza”, ha dichiarato LaBella in una nota diffusa dal suo legale.

“Quello che mi è accaduto ha distrutto la mia fiducia e ha cambiato per sempre il mio modo di lavorare in questo settore”. La denuncia sottolinea come la scena non solo violasse i protocolli stabiliti dal sindacato degli attori SAG-AFTRA — che richiedono almeno 48 ore di preavviso e il consenso esplicito per ogni scena che includa nudità o atti sessuali simulati —, ma che fosse anche girata in un set non chiuso, in presenza di terzi, aumentando il senso di esposizione e di pericolo psicologico per l’attrice. È un’accusa che affonda il colpo nella parte più opaca dell’industria dell’intrattenimento: quella che, dietro la patina della finzione, può diventare teatro di abusi reali, in nome di un presunto “realismo artistico”. Un’ambiguità che ha già travolto nomi illustri in passato e che continua a emergere, ciclicamente, come una ferita che non smette di sanguinare.

L’avvocato di LaBella, Kate McFarlane, ha parlato senza mezzi termini di “una produzione dominata da logiche patriarcali”, dove le donne — anche nei ruoli più invisibili, come le controfigure — vengono sacrificate sull’altare della spettacolarizzazione a ogni costo. “La nostra assistita è stata sottoposta a una violenza inaudita e priva di qualunque giustificazione professionale”, ha dichiarato McFarlane.

Ma Kevin Costner, da parte sua, respinge ogni accusa. Il suo legale, Marty Singer, ha definito le affermazioni di LaBella “prive di fondamento” e sostiene che la controfigura avrebbe acconsentito alla scena dopo una prova tecnica, addirittura mostrando il pollice in su al coordinatore degli stunt per segnalare il proprio consenso.

A sostegno di questa versione, Singer ha prodotto un messaggio inviato dalla stessa LaBella al termine delle riprese, in cui l’attrice ringraziava il team per le “meravigliose settimane” di lavoro e si diceva “felice di come era andata”. Un dettaglio, questo, che apre uno squarcio sull’ambivalenza psicologica che molte figure professionali, soprattutto nei ruoli subordinati dell’industria cinematografica, vivono quotidianamente: la necessità di dimostrarsi “collaborativi”, di non disturbare il delicato equilibrio del set, per non compromettere carriere fragili costruite con sacrificio e silenzio.

Tuttavia, secondo la denuncia, il clima dietro le quinte era tutt’altro che sereno. Dopo l’incidente, LaBella avrebbe espresso il proprio disappunto, ricevendo in risposta atteggiamenti ostili da parte dei colleghi uomini, che l’avrebbero accusata di non aver parlato abbastanza chiaramente.

“Si è sentita sola, tradita e disillusa — si legge nella documentazione — ma ha dovuto comunque continuare a lavorare con atteggiamento professionale, poiché le riprese non erano ancora concluse”.
Un altro fatto riportato a sostegno della sua denuncia è che, nonostante avesse lavorato regolarmente con quel coordinatore degli stunt in passato, LaBella non è stata più ingaggiata né per il terzo capitolo di “Horizon” , né per altri progetti successivi. Un’esclusione che, a detta della controfigura, potrebbe rappresentare una forma sottile ma efficace di ritorsione.

L’episodio, risalente al 2 maggio 2023 su un set nello Utah, non è l’unico a contenere scene delicate: LaBella stessa racconta di aver interpretato una scena di stupro il giorno precedente, ma in quel caso le cose erano state gestite in modo professionale: prove, intimità coordinata, set chiuso.

E allora la domanda sorge spontanea: perché improvvisare, il giorno dopo, una scena analoga senza alcuna tutela? La vicenda getta nuove ombre su “Horizon: An American Saga”, già bersaglio di critiche per le sue difficoltà produttive e l’accoglienza tiepida del pubblico. Ma, soprattutto, riapre un dibattito profondo sulla vulnerabilità di molte figure nel sistema cinematografico. Le controfigure, in particolare, restano spesso senza voce, pur assumendosi rischi fisici ed emotivi elevatissimi. Naturale e lecito, dunque, chiedersi quante di loro si trovino, ogni giorno, in situazioni simili, senza la forza, o la possibilità, di parlare.

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