Nel 2024 la Cina ha superato la Germania diventando il primo produttore di automobili elettriche a livello mondiale, quando solo due anni prima importava ancora la maggior parte dei veicoli: una storia di successo all’interno di un ecosistema tecnologico in rapida espansione come quello cinese che, guidato da una forte regia governativa, ha dimostrato di essere in grado di competere con i colossi del tech globale. Ad oggi, il 60% della produzione di auto elettriche fa capo a Pechino (Figura 1), un risultato frutto di una complessa strategia industriale articolata in tre fasi.
1- Trasferimento tecnologico: un elemento fondamentale per lo sviluppo del settore automobilistico cinese fin dagli anni ‘80, quando una settantina di joint venture con case automobilistiche straniere consentirono a queste ultime di accedere al mercato cinese in cambio del trasferimento di competenze tecniche agli ingegneri locali. Un salto di qualità si è poi verificato nel 2018, con l’apertura a Shanghai del primo stabilimento Tesla fuori dai confini degli Stati Uniti, che ha permesso l’avanzamento del know-how cinese nella produzione di veicoli elettrici (EV). In cambio delle sue tecnologie avanzate e di modelli di produzione innovativi, Tesla ha ricevuto generosi sussidi pubblici.
2- Adattamento: sotto la guida del Ministero della Scienza e della Tecnologia, dal 2007 al 2019 il governo ha investito circa 100 miliardi di renminbi (14 miliardi di dollari) in aziende produttrici di veicoli elettrici e batterie, una cifra pari a un terzo delle vendite complessive del settore nello stesso periodo. Le sovvenzioni includevano incentivi fiscali, come l’esenzione dall’imposta sulle vendite, e il finanziamento di progetti di trasporto pubblico elettrico, senza contare i massicci investimenti in attività di ricerca.
3- Globalizzazione: dopo aver acquisito e perfezionato le tecnologie EV per ottenere un vantaggio competitivo in termini di costi, le aziende cinesi hanno prima sostituito i produttori stranieri sul mercato interno, per poi espandersi anche sul mercato internazionale. Non stupisce quindi che, dal 2017 al 2024, la vendita di automobili straniere in Cina sia passata dal 70% al 40%, mentre, in parallelo, le vendite di EV cinesi siano aumentate a un tasso medio annuo del 60%.

Una delle chiavi del successo globale degli EV cinesi è il loro prezzo competitivo: un’auto elettrica in Cina costa in media il 33% in meno rispetto ad una tradizionale, quando negli Stati Uniti e in Europa gli EV hanno un prezzo di almeno il 40% superiore rispetto ai veicoli a combustione. Per questo, anche con un sovrapprezzo del 100%, un EV cinese esportato resta comunque più economico del 10% rispetto ad un modello tedesco di pari categoria prodotto localmente. Questo ha spinto l’Unione Europea a introdurre dazi sui veicoli elettrici cinesi. Il segreto di questa economicità non è la manodopera a basso costo: negli ultimi sette anni, infatti, il costo medio del lavoro in Cina è aumentato del 60%, mentre il prezzo medio degli EV è sceso del 50%. La vera ragione risiede nel costo ridotto delle batterie e nel controllo dell’intera filiera produttiva. Per quanto riguarda il primo fattore, la Cina è leader nella produzione di batterie al litio-ferro-fosfato (LFP), più economiche ma con capacità energetiche inferiori rispetto alle più diffuse batterie al litio-nichel-manganese-cobalto (NMC). Dopo un decennio di ricerca, però, i produttori cinesi hanno cominciato ad adottare la tecnologia cell-to-pack, che ha permesso di aumentare la densità energetica delle LFP senza comprometterne il vantaggio in termini di costi. Negli ultimi dieci anni, il loro costo è calato dell’82%, e nel 2023 queste batterie hanno rappresentato oltre il 40% della domanda globale. In secondo luogo, la Cina ha assunto un ruolo di primo piano lungo tutta la filiera produttiva di EV, generando forti economie di scala: controlla oltre il 90% della produzione globale di batterie, è leader nell'estrazione della grafite e ha investito ingenti risorse in miniere di litio in Africa e nella produzione di nichel in Indonesia. Inoltre, detiene la quota di mercato più rilevante nella lavorazione delle materie prime utilizzate nelle batterie, come litio, nichel, cobalto e grafite (vedi Figura 2).

E quello delle auto elettriche è solo uno dei tanti settori tecnologici che compongono un vero e proprio ecosistema nazionale. La maggior parte dei colossi tech cinesi ha infatti adottato simultaneamente diverse tecnologie avanzate, sfruttandone le sinergie, e proprio questa strategia potrebbe contribuire a spiegare la recente rapida accelerazione dell’innovazione in settori sia tradizionali sia emergenti. Ad esempio, grandi produttori di telefoni come Xiaomi e Huawei si sono lanciati nell’industria EV, poiché godono di un vantaggio naturale nello sviluppo dell’hardware per l’interfaccia utente, come gli schermi touch, e nell’integrazione con Internet e, in prospettiva, con altre vetture. La produzione di veicoli elettrici ha inoltre accelerato lo sviluppo della guida autonoma. Baidu, il “Google” cinese, ha lanciato nel 2022 il suo primo robotaxi, Apollo Go, il cui ultimo modello, presentato a maggio dell’anno scorso, è cinque volte più economico da produrre rispetto a Waymo, il progetto di guida autonoma di Alphabet.
La tecnologia EV sta aprendo nuove frontiere: aziende produttrici di veicoli elettrici come Li Auto e XPeng hanno investito molto in robotica, sviluppando sensori di percezione e interazione, algoritmi avanzati e telecamere lidar, tutte componenti essenziali per la robotica industriale e umanoide. Il controllo sulla supply chain EV ha creato un vantaggio competitivo di Pechino anche in questo settore: la Cina detiene oggi il 63% delle aziende chiave nella filiera globale dei componenti per robot umanoidi Huawei, principale fornitore cinese di infrastrutture ICT e già produttore di batterie e componenti fondamentali per la realizzazione di droni, sta spingendo in questa direzione e, grazie al suo primato nelle infrastrutture di rete, ha iniziato ad effettuare consegne commerciali con i droni a bassa quota, iniziativa simile a quella tentata da Amazon, che però si scontra con le più stringenti normative di sicurezza degli Stati Uniti. E l’elenco potrebbe continuare, ma il messaggio è chiaro: il “multi-teching” non è più solo una prerogativa delle Big Tech statunitensi.
Con l’espansione della produzione verso tecnologie di frontiera come l’Intelligenza Artificiale e i semiconduttori, la Cina sta attirando sempre più l’attenzione degli investitori, per quanto gli Stati Uniti restino leader di settore e vi sia la convinzione diffusa che, a differenza di quanto accaduto con le auto elettriche, il Dragone faticherà a colmare il divario. Il dado non è ancora tratto, però, e, nonostante la sua capacità limitata di produrre chip all’avanguardia, la Cina ha già sviluppato un numero di Large Language Model (LLM) sovrapponibile a quello degli Stati Uniti (vedi Figura 3).

I semiconduttori sono già parte integrante dell’infrastruttura tecnologica cinese: Pechino controlla oltre l’80% della lavorazione degli elementi delle terre rare, inclusi materiali fondamentali per i semiconduttori, come il gallio di qualità inferiore, il tungsteno e il magnesio.
Dal 2014, il governo cinese ha investito annualmente notevoli risorse nel settore dei semiconduttori, così che tra il 2010 e il 2022 il numero di aziende specializzate in questo campo è aumentato di sei volte. Nonostante rimangano aperte sfide decisive, il modello di sviluppo adottato nel settore dei veicoli elettrici rappresenta un valido esempio per altre tecnologie emergenti come i semiconduttori e il machine learning. Proprio come vent’anni fa in pochi avrebbero immaginato che la Cina sarebbe diventata leader mondiale nel mercato dei veicoli elettrici, oggi questa potenza potrebbe presto scalare nuove vette tecnologiche.