La sua storia scosse l'Italia perché un intero Paese inorridì davanti alla sua fine. Michelle Causo non fu solo uccisa, non ebbe la vita strappata per mano di un assassino, ma fu ridotta, lei che era ormai ossa, sangue e pelle, senza un'anima, come una sacco della spazzatura, messa in un carrello da supermercato, abbandonata davanti ai cassonetti.
L'assassino in carcere incide e diffonde musica, senza che qualcuno si prenda la responsabilità
Il suo giustiziere, che non hai realmente fatto capire i motivi del suo gesto, da ragazzino - condannato a vent'anni - è finito in un carcere minorile, uno di quelli in cui il recupero dei reclusi vale molto di più dell'esigenza dello Stato, amministratore e dispensatore di giustizia, di tenerlo dietro le sbarre.
Lui, Oliver, italiano figlio di immigrati dello Sri Lanka, dentro una cella c'è finito, ma grazie al nostro sistema, che mira al recupero e al reinserimento del recluso, ha fatto altro. Una cosa - lucrare - alla quale non avrebbe nemmeno dovuto passare per la testa di chi, come lui, si presume che abbia l'esatta percezione di quel che ha fatto, della vita che ha stroncato del dolore che ha inferto alla famiglia delle vittima. Lucrare non tanto in termini economici, quanto cercando di attirare su di sé attenzione e magari qualche consenso.
Lo ha fatto incidendo un brano musicale, un rap o qualcosa del genere, per raccontare la sua realtà, parlando della sua esperienza da detenuto, del rapporto con la madre, presentandosi quasi come un ragazzo qualunque, anzi un quasi bravo ragazzo che è in carcere per qualcosa di indefinito, come se Michelle sia stato un inciampo nella sua esistenza, un incidente di percorso nella vita di un giovane come gli altri. Ma qui non vogliamo fare analisi sociologiche, indagini su come la sua mente abbia elaborato l'aberrazione del suo gesto e se egli sia oggi cosciente del male che ha fatto.
No, qui non vogliamo, ma dobbiamo parlare di chi, dentro il carcere minorile, glielo ha concesso, chi ha permesso che Oliver incidesse un brano e, soprattutto, chi doveva valutare la cosa e, se lo ha fatto, non ha capito la devastante portata del messaggio sociale di un brano che parla dell'oggi, ma non ne spiega il perché.
La detenzione è una condizione che non ha bisogno di commenti, perché rappresenta la risposta della società chi viola le leggi e offende la dignità dell'individuo. In Italia, peraltro, le condizioni dei reclusi sono indegne di un Paese che è stata culla del Diritto e che, nel rispetto di esso, non dovrebbe vendicarsi, ma negare la libertà, anche se in celle ridotte alla stregua di anticamere dell'inferno.
Ma, pure davanti a queste considerazioni, la possibilità che si è data ad un assassino di agire come se non avesse non fatto nulla, perché di nulla sembra pentirsi, è l'ennesimo segnale di un sistema che sembra abbandonato a sé stesso, dove ai detenuti è concesso tutto, dalle vendette personali agli stupri di gruppo.
Ma qualcuno di coloro che sono in cima alla catena di comando delle nostre carcere legge i giornali, si interroga su quel che accade al loro interno?
Ora pare cominciata la corsa allo scarico di responsabilità, con il direttore del carcere che si è affrettato a dire
che i detenuti non avevano cellulari e che, quindi, nessuno sembra avere sospettato nulla. Intanto Oliver quel brano lo ha inciso, lo ha fatto uscire dal carcere, conta le visualizzazioni, come un cantante qualsiasi.
Lo sfregio alla dignità di Michelle (verso il quale l'assassino non ha speso una parola) resta lì, cristallizzato nell'inanità dello Stato. E sarebbe grave che le parole del padre della giovanissima vittima fossero la fotografia dell'accaduto: "Avevo segnalato tutto un anno fa, ma nessuno mi ha ascoltato. La polizia mi ha chiuso il telefono in faccia, dicendomi che avevo le allucinazioni".
Oliver ora si trova in un altro carcere, ma difficilmente cambierà il suo atteggiamento, se è vero che avrebbe avuto in passato accesso ai social, creando profili falsi con finalità forse non proprio esenti da sospetti.