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Cassazione, bastano messaggi e telefonate insistenti per configurare la molestia

Redazione
 
Cassazione, bastano messaggi e telefonate insistenti per configurare la molestia
Non servono insulti o minacce per essere riconosciuti colpevoli di molestia, bastano chiamate e messaggi insistenti, anche se privi di contenuti offensivi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, confermando la condanna inflitta dal Tribunale di Vibo Valentia a un uomo che, tra il 13 e il 31 dicembre 2022, aveva contattato ripetutamente la sua ex compagna nel tentativo di riconquistare la sua fiducia.

Cassazione, bastano messaggi e telefonate insistenti per configurare la molestia

Nel corso di due settimane, l’uomo aveva inviato decine di messaggi e telefonate quotidiane, che la donna ha poi allegato alla querela presentata alle autorità. Secondo i giudici, tale condotta, sebbene non connotata da minacce o offese, è risultata “pressante e indiscreta” e ha rappresentato un’intromissione inopportuna nella sfera di libertà altrui.

La difesa aveva cercato di sostenere che mancassero gli elementi per configurare un vero e proprio reato, sottolineando la breve durata dei contatti, l’assenza di danni psichici e il fatto che la donna non avesse mai bloccato il numero del suo ex. La Cassazione, tuttavia, ha respinto tutti gli argomenti, ricordando che la molestia si realizza nel momento stesso in cui viene percepita come tale e che la durata o l’intensità del disturbo sono irrilevanti ai fini della configurazione del reato.

Gli ermellini hanno inoltre chiarito che la possibilità, per la vittima, di interrompere la comunicazione non elimina la responsabilità dell’autore, il reato si consuma già al primo verificarsi dell’azione sgradita.

La Suprema Corte ha qualificato la condotta come reato di molestia ai sensi dell’articolo 660 del codice penale, e non come stalking, poiché non erano presenti elementi di minaccia o un fondato timore per l’incolumità personale. Tuttavia, i giudici hanno definito l’atteggiamento dell’uomo “petulante” e “ispirato da biasimevole motivo”, confermando la condanna e dichiarando inammissibile il ricorso.
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