Una vita da mediano, cantava Ligabue. E in effetti Carlo Conti si è calato alla perfezione in questo ruolo, senza troppi guizzi, senza mai uscire dagli schemi. La definizione di "festival del campo largo" sembra fatta apposta per lui: ha evitato ogni spigolosità, ha messo in un angolo monologhi e gossip, ha amalgamato rap e cantautorato, ha dato spazio al messaggio di Papa Francesco e al solito colpo di teatro di Roberto Benigni, riconsegnando Sanremo alla comfort zone della musica e della tradizione. Un festival democristiano fino al midollo, che ha fatto il pieno di ascolti e raccolto numeri da record, ma che difficilmente verrà ricordato per momenti di autentica imprevedibilità.
Carlo Conti il normalizzatore: “Il mio Sanremo è baudiano”
"Io sono normale e va bene così. Per me vivere la vita è un gioco da ragazzi e anche il festival l'ho sentito nel mio modo, nel mio stile, con il colore della mia pelle", dichiara, avventurandosi in un paragone che lascia perplessi. Poi si rifugia nel classicismo: "Il mio Sanremo è baudiano, nel senso migliore del termine. Gira che ti rigira, è una meravigliosa messa cantata, un meraviglioso rito collettivo e ci ha insegnato Pippo Baudo a farlo". Un'idea di festival che non sorprende, che scorre liscia senza sussulti e che lui difende con serenità: "C'è stato il messaggio di Edoardo Bove, del Santo Padre, al quale mandiamo un abbraccio forte perché si rimetta presto, il ricordo di Fabrizio Frizzi, i ragazzi meravigliosi del Teatro Patologico... poi ognuno fa le sue riflessioni. Ma se questo è normale, ben venga il normale".
Di sicuro, il Sanremo di Conti è stato ineccepibile dal punto di vista degli ascolti: media complessiva di 12,5 milioni di spettatori e share del 67,1%, il più alto di sempre. Anche la raccolta pubblicitaria ha toccato cifre impressionanti, con 65 milioni e 258mila euro incassati. Un successo schiacciante, che gli ha permesso di superare senza troppi patemi l'eredità pesante lasciata da Amadeus.
"Non l'ho vissuto come una sfida, ho ripreso un lavoro iniziato con l'azienda nel 2015, portato avanti per tre anni, proseguito alla grande da Baglioni e poi nei cinque straordinari festival di Amadeus. Sono tornato a riprendere un lavoro, per questo è stato facile". Nessuna ansia da prestazione, nessuna voglia di rivoluzionare: "Nessuno fa il direttore artistico per se stesso, ma per l'azienda, per la Rai e per il pubblico, è come il ct della Nazionale che cerca di vincere i Mondiali: lo fa per la nazione, per l'Italia, per la squadra". E i risultati, a suo dire, parlano da soli. "Adesso il problema vero è per chi lo dovrà fare il prossimo anno: ah già, sono io!", ride.
Per il 2026, la Rai lo ha già confermato come direttore artistico, ma è chiaro che con questi numeri si stia puntando al bis anche in conduzione.
"L'azienda mi ha chiesto di divertirmi per due anni sul festival, io ho accettato, poi deciderò cosa fare strada facendo. Fare il festival non è solo condurlo, che alla fine è la cosa più facile, ma è anche organizzazione, direzione artistica, scelta della scenografia, delle luci, degli abiti. Se nel futuro il mio lavoro dovesse servire ad aiutare qualche nuova leva, vedremo se potrò aiutare". Nel frattempo, ha portato sul palco dodici co-conduttori, con l’idea di condividere il palco e l’esperienza: "La parola d'ordine è stata insieme: ci siamo divertiti insieme, lo abbiamo fatto insieme. Vediamo l'anno prossimo se mi viene un'idea, ma penso di sì".
Conti ringrazia tutti, dai protagonisti ai cantanti, sottolineando la freschezza di Lucio Corsi e la potenza di Olly. I fischi dell'Ariston per l'esclusione di Giorgia e Achille Lauro dalla top five? "Ci sono stati anche boati e applausi quando ho lanciato il televoto per la cinquina finale. Tutto questo fa parte del DNA del festival. Preferisco questo Ariston rispetto a quello di qualche anno fa, dove il pubblico era seduto e non faceva niente. Sono stato sorpreso anch'io dei risultati, ma credo che la standing ovation per Giorgia valga più di un primo posto. Il tempo è galantuomo".
Sanremo 2025 è stato un festival, insomma, filato via liscio liscio, senza scossoni né imprevisti, perfettamente incasellato nei tempi, con il merito di aver mandato tutti a letto almeno mezz’ora prima del solito. Conti si rimprovera solo due errori: "Ieri sera abbiamo finito troppo tardi, bisognava chiudere all'1.40. E poi mi piacerebbe annunciare solo le prime dieci posizioni, sul modello che ho sperimentato per la serata delle cover". Qualche spunto per il futuro c’è, ma nulla di rivoluzionario (e come ti sbagli!). "Adesso - conclude con un sorriso - torniamo alla normalità. Domani mi aspetta il compleanno di Leonardo Pieraccioni". E così, senza colpi di scena, anche quest’anno il carrozzone dell’Ariston si congeda: normale, ben confezionato, rassicurante. Troppo?