Economia

Un caffè espresso, grazie. Dove devo firmare per il mutuo?

Redazione
 
Un caffè espresso, grazie. Dove devo firmare per il mutuo?

Il caffè, quel gesto semplice e universale che da Napoli a Bolzano scandisce le giornate degli italiani, rischia di diventare un bene di lusso. Lo dice il Centro studi di Unimpresa: entro la fine del 2025 la tazzina potrebbe toccare quota 2 euro, con un rincaro di oltre il 50% rispetto al 2020.

Un caffè espresso, grazie. Dove devo firmare per il mutuo?

Ora, due euro non sono la fine del mondo, se pensiamo al prezzo di un cocktail o di una bottiglietta d’acqua in stazione. Ma parliamo del caffè, il carburante nazionale, la tassa occulta sul buongiorno, l’unica religione davvero condivisa in Italia. A 2 euro la tazzina, il rischio è di trovarsi davanti a due scenari, o gli italiani insorgono come per la tassa sul macinato, o imparano a sorseggiare infusi di ceci e semi di dattero (nuova frontiera del “caffè sostenibile”, già in fase di test).

Dietro il rincaro non c’è il complotto dei baristi, ma una catena di eventi che fa impallidire qualunque thriller economico: siccità in Vietnam, alluvioni in Brasile, noli marittimi raddoppiati, energia che costa come un diamante, speculazioni finanziarie sui futures dell’Arabica e, per non farci mancare nulla, le nuove norme europee anti-deforestazione che impongono tracciabilità perfino ai chicchi. Risultato, dal 2020 a oggi il prezzo medio nazionale è passato da 0,87 a oltre 1,30 euro, con punte da capogiro a Bolzano (1,43 euro).

E se il portafoglio piange, anche la psicologia collettiva traballa. Perché il caffè, ricordiamolo, incide per meno dell’1% sul bilancio familiare, ma ha un valore simbolico spropositato. È pausa, socialità, rito, scusa per incontrarsi. A 2 euro rischia di trasformarsi da rito democratico a lusso da boutique.

I consumi, nonostante tutto, resistono, con 327 milioni di chili di verde all’anno, 5,5 chili a testa, con un mercato che vale 5,2 miliardi e punta ai 6 entro il 2030. E mentre l’espresso rincara, crescono capsule e cialde, ormai al 16% delle vendite. La partita, insomma, non è sul se continueremo a bere caffè, ma su quanto saremo disposti a pagare per tenere in vita il mito dell’espresso da bancone.

Per ora la domanda resta sospesa: 2 euro per una tazzina, li spenderemo col sorriso o col rancore? Magari la vera rivoluzione partirà proprio dal bar, quando davanti al listino non diremo più “un caffè, grazie”, ma “un mutuo, ristretto per favore”.

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