Burning Buzz

Beethoven on the road

Barbara Leone
 
Beethoven on the road

C’è un posto nel mondo dove le strade non strappano sospensioni a suon di buche, ma accendono sinfonie: letteralmente, perché suonano. Succede a Fujairah, Emirati Arabi Uniti, dove le autorità hanno installato dossi musicali che, se percorsi alla velocità giusta, riproducono la Nona Sinfonia di Beethoven. Sì, proprio lei: Freude, schöner Götterfunken – la Gioia – quella che da noi in genere si grida solo quando trovi parcheggio sotto casa al primo colpo. Ma attenzione: la sinfonia si ascolta solo se si viaggia a 60 km/h. Un colpo di gas, e Beethoven si trasforma in un remix techno; un rallentamento, e diventa un quartetto per balena depressa.

Beethoven on the road

L’iniziativa parte dalla Fujairah Fine Arts Academy, una scuola d’arte che ha deciso di fondere urbanistica e sinfonismo con la delicatezza di un Paganini sotto Red Bull. E funziona: basta infilarsi nel rettilineo giusto e la tua Toyota Corolla si trasforma in un’arpa itinerante, le ruote pizzicano le note, e all’improvviso la tangenziale si fa teatro. Altro che Filarmonica di Berlino: qui il direttore d’orchestra è Google Maps. Chi guida troppo veloce si ritrova con Beethoven accelerato alla Benny Hill; chi va troppo piano ottiene la versione rallentata tipo cimitero degli elefanti con gli archi.

E l’effetto è così assurdo da risultare perfetto. Sembra un’installazione dadaista con il patrocinio del Ministero dei Trasporti. Ora, sorvoliamo sul fatto che Beethoven fosse sordo – non è carino fare battute facili – ma immaginiamo la reazione di Schumann se avesse saputo che un giorno i dossi avrebbero prodotto quartine musicali. Forse si sarebbe buttato nel Reno con più convinzione. E no: non si tratta di semplice folklore da Dubai in vacanza premio. Perchè dietro c’è una filosofia urbana… roba seria! L’arte deve uscire dalle gallerie, dicono. E magari anche schivare i camion. La musica classica, insomma, si decentralizza, si smaterializza, si sospende su ammortizzatori, e si getta a capofitto in mezzo al traffico.

Un’idea che avrebbe fatto impazzire John Cage e probabilmente costretto Haydn a prendersi un ansiolitico. Del resto, quella di Fujairah non è certo la prima strada (in)cantata: in Danimarca ne esistono dagli anni ’90 (l’Asphaltophone) e il trend tocca Giappone, Corea, California e perfino l’Iran. L’Italia, intanto, guarda e prende appunti. Perché da noi i dossi musicali già ci sono, solo che suonano urla, imprecazioni, e cinghie di distribuzione che salutano per sempre. A Roma, per esempio, il raccordo anulare potrebbe benissimo ospitare l’opera completa di Wagner: durata, sofferenza e misticismo sono già garantiti. Mentre sul Lungotevere si potrebbe perfettamente intonare un bel Dies Irae benaugurale. Poi chissà, magari fra vent’anni l’intero repertorio sinfonico sarà asfaltato in tutto il globo terracqueo.

Avremo corsie dedicate a Mahler per veicoli elettrici melanconici, strade Chopin per chi piange in Smart, e una rotonda Rossini dove il traffico gira senza fine ma con grazia buffa. Il progetto emiratino, nel frattempo, conquista TikTok e le riviste patinate, e si diffonde con la velocità di una fuga di Bach, ma in streaming. E così, nel delirio collettivo, si vocifera di futuri dossi dedicati a Mozart, con tanto di Eine kleine Nachtmusik su corsie notturne per insonni di lusso. In coda, naturalmente.

Il tutto lascia aperte domande fondamentali: se vado in retromarcia, suona al contrario? Se sbaglio corsia, mi becco un tema di Schönberg in dodici toni? E se piove, diventa tutto jazz? Che poi, in fondo, Beethoven era un rivoluzionario. Non avrebbe certo disdegnato di sentire la sua Nona risuonare su una statale del Golfo Persico. Magari avrebbe fatto un gesto un po’ così, da genio burbero, ma sotto sotto ne sarebbe stato orgoglioso. Perché anche lui, come certi ingegneri dell’asfalto postmoderno, sapeva che la vera arte è quella che ti prende alla sprovvista. O ti suona un accordo di quinta diminuita in faccia mentre freni sul dosso.

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