La pandemia è finita, ma non per le società: assemblee ancora negate agli azionisti


 


Ci deve essere una barriera invisibile eppure imperforabile che ferma, prima che dalle orecchie arrivino al cervello, per essere elaborate, alcune informazioni che danno fastidio alle società italiane.
Come, ad esempio, che l´Organizzazione mondiale della Sanità, a tre anni dall´inizio dei contagi, abbia decretato che la pandemia ormai non esiste più, che il coronavirus - che comunque deve essere ancora completamente sconfitto - non deve fare più paura.
L´Oms, quindi, non qualche profeta di sventure all´incontrario per il quale le centinaia di migliaia di morti causati dal coronavirus sono un semplice inciampo nel panorama sanitario, qualcosa da inserire in una statistica, senza ingigantirne il significato clinico.
Eppure questo, che non vuole essere un messaggio di speranza o rassicurazione, sembra non essere arrivato nel mondo delle società italiane che, approfittando di un illogico spiraglio loro concesso da un emendamento voluto e approvato dalla maggioranza di governo, hanno in larghissima maggioranza deciso di continuare a convocare le loro assemblee generali non aprendole agli azionisti. Una scelta che, formalmente, è perfettamente lecita, se non fosse che va contro lo spirito delle assemblee, che dovrebbero essere (il condizionale, a questo punto, è d´obbligo) il momento di massima democrazia interna, concedendo a tutti coloro che ne hanno titolo e diritto di potere intervenire e dire la loro, non necessariamente per censurare o attaccare, ma solo per spiegare la loro posizione e perorare le loro idee.
E invece, grazie all´emendamento ´killer´ del diritto a rappresentarsi da soli, le assemblee continueranno a tenersi con una modalità che, oggettivamente, comprime il potenziale dissenso. Né la presenza di un delegato (designato dalla società), che raccoglie istanze e domande prima della tenuta dell´assemblea, può essere elemento rassicurante, anche se formalmente di garanzia. Perché questo soggetto si limita a riferire qualcosa, ma ben difficilmente si prenderà la briga o la responsabilità di replicare alle controdeduzioni del board.
Lungi da noi pensare che, dietro questa scelta di impedire la presenza degli azionisti, ci sia un disegno preciso, ci sia la volontà di evitare che le perplessità prendano le fattezze, magari, di una mozione o di un precisa richiesta.
Ma talvolta la disinvoltura o la spregiudicatezza di talune decisioni spingono anche a retropensieri che, sino a ieri, non ci passavano nemmeno per la testa. Fatto sta che, nel panorama generale, le società che hanno deciso di celebrare le loro assemblee in modo canonico, con gli azionisti in sala o comunque - grazie alle tante possibilità dateci dalla tecnologia - in condizione di potere esprimere il loro giudizio su bilancio, progetti e strategie, sono una sparutissima minoranza. Ma, per fortuna dei loro azionisti e della democrazia, nel senso più alto del termine, ce ne sono ancora. E magari, prendendo spunto da loro, qualche azionista emarginato, se non addirittura discriminato dalla modalità ´´assemblea nel deserto´´, potrebbe anche ricorrere al collegio sindacale, che è organismo di garanzia e che deve esprimersi su quesiti anche regolamentari. Che poi il collegio sindacale goda di totale autonomia è un altro discorso.

  


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