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Quante brutte figure (internazionali) nella vicenda del torturatore libico liberato

Redazione
 
Quante brutte figure (internazionali) nella vicenda del torturatore libico liberato

La ''strana'' (limitiamoci a chiamarla così, per il momento) vicenda della scarcerazione - dopo un arresto richiesto dalla Corte penale internazionale - e della sconcertante decisione di portare, sin davanti al portone di casa, di un libico accusato di essere un torturatore di migranti, ha messo l'Italia non solo in rotta di collisione della Cpi, ma anche all'attenzione dei principali media internazionali, che si pongono più d'un interrogativo sul nostro comportamento e, quindi, sulla nostra affidabilità. Anche perché, almeno fino a ieri, riconosciamo la Cpi, accettandone quindi le decisioni e le richieste. E per ''nostro comportamento'' intendiamo il governo, ufficialmente nelle persone del guardasigilli, Carlo Nordio, e del ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi.

Quante brutte figure (internazionali) nella vicenda del torturatore libico liberato

A beneficiare del ''grande cuore'' dell'Italia è stato il libico Osama Najeem Almasri, che, arrestato a Torino (dove era stato segnalato grazie alla polizia tedesca, che ne aveva accertato il passaggio sul territorio della Germania), avrebbe dovuto essere consegnato alla Corte penale dell'Aia, che lo ritiene responsabile di disumane violenze ai danni di migranti. Il punto da mettere in chiaro, lo ripetiamo, è che l'Italia, con le sue motivazioni, ha deciso di disattendere una richiesta che viene da un organismo cui come Paese ha dato negli anni appoggio e attestazioni.

Ma anni di collaborazione sono di colpo spariti quando ci è capitato, tra capo e collo, l'arresto di un brutto soggetto che però, anche se dal governo questa interpretazione non sarà ammessa, fa parte dei vertici della catena di comando di Tripoli e che, se volesse, potrebbe riaprire i rubinetti, sino ad oggi chiusi, dell'emigrazione clandestina pronta a riversarsi sulle nostre coste. Creando, questo sì, un vero problema al governo.
Almasri è tornato libero per due motivi, ampiamente dichiarati da Nordio e Piantedosi. Il primo ha disinnescato l'azione della Corte d'appello di Roma, che ne chiedeva il prescritto parere, di fatto non rispondendo e giustificandosi dicendo che la richiesta della Corte penale internazionale è arrivata alla sua attenzione quando era stata già presa la decisione di espellere Almasri.

Una affermazione che non dovrebbe essere nemmeno messa in dubbio, provenendo dal ministro della Giustizia, peraltro ex magistrato. Peccato che che la tempistica dell'inoltro dei documenti con cui la CPI chiedeva la consegna del libico dice il contrario. E, laddove si fosse rilevato un intoppo alla procedura di estradizione, poteva essere sanato dallo stesso ministero della Giustizia.
Le cose dette da Nordio hanno provocato una dura reazione della CPI che ha espresso la sua ''profonda preoccupazione'' per il fatto che l'Italia, firmataria dello Statuto di Roma, ha disatteso l’obbligo legale e morale di dare attuazione alla richiesta.

Ma, siccome in ogni cosa si può fare anche peggio, la ''pezza'' cui ha dovuto fare ricorso il ministro dell'Interno per spiegare l'accaduto di sua competenza - l'espulsione di Almasri e il suo trasferimento a Tripoli - è stata sconcertante, lasciando il dubbio che a lui, che non aveva grandi responsabilità, è rimasto il cerino in mano, da ultimo della fila.

A Piantedosi, in aula, è toccato dire che ''a seguito della mancata convalida dell'arresto da parte della Corte d'appello di Roma'', come se i giudici della capitale avessero una qualche responsabilità sull'accaduto, e ''considerato che il cittadino libico era 'a piede libero' in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale. ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato". Resta la bruttissima figura - soprattutto in campo internazionale -, lasciandoci in una condizione di disagio nei confronti di un organismo che come Paese abbiamo fortemente sostenuto e dal quale ci siamo dissociati per motivi che nessuno ha voglia di confessare.
Ma il domandone finale è: ma se è stato scarcerato ed espulso per la sua pericolosità sociale, perché, per il suo trasferimento in Libia, è stato usato un aereo dei nostri servizi segreti, come se fosse un ospite di riguardo?

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