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Vicenda Almasri: il sale sulle ferite della democrazia parlamentare

Redazione
 

Se si potesse riavvolgere il nastro della Storia, forse Giorgia Meloni potrebbe ripensare alla sua decisione di affidare a due suoi ministri il compito di difendere il governo dalla accuse piovute da tutte le opposizioni per la gestione della vicenda di Almasri, il libico accusato dalla Corte Penale Internazionale di essere un assassino, violentatore e torturatore e che, arrestato in Italia, è stato scarcerato e rispedito in patria, con un jet dei servizi segreti usato come fosse un Uber.

Vicenda Almasri: il sale sulle ferite della democrazia parlamentare

La scelta di non essere in aula per fare valere le ragioni che hanno disegnato la strada che il governo ha deciso di seguire per uscire ''indenne'' dalla gestione di una scabrosa situazione è stata certo dettata da motivi politici, ma quello scranno vuoto mentre Carlo Nordio e Matteo Piantedosi cercavano di spiegare, spesso andando contro la logica e talvolta l'uno contro l'altro, ha dato la rappresentazione plastica di un momento di difficoltà.

L'immagine del governo è uscita danneggiata dal ''pas de deux'' tra i ministri della Giustizia e degli Interni?
Probabilmente sì e certo in misura maggiore di quel che forse la maggioranza temeva, perché - soprattutto Nordio - i due ministri hanno dato di un fatto storico elementi di giudizio non realmente coincidenti.

Ma questo ci può anche stare, viste le asperità logiche dell'evento in questione. Ma forse non ci stava la scelta di affidare la difesa dell'azione del governo più che a Piantedosi - un servitore dello Stato, sempre e comunque - a un ex magistrato che mai dimostra comprensione verso i suoi colleghi, sferzandoli, come ha fatto ieri quando, in chiusura di relazione alla Camera, piuttosto che finirla lì, ha cercato di mettere in riga le toghe che non gli hanno risparmiato critiche.

Momenti delicati, come quello di ieri, devono essere affidati a chi conosce l'arte della politica (e le sue insidie), che non deve essere sempre esibizione di muscoli, soprattutto quando il destinatario delle accuse non c'è e non può replicare.

Come appunto i magistrati, contro cui Nordio ha avuto parole forti, giustificate a suo giudizio, ma che ieri sono apparse fuor di luogo. Anche perché, non essendo contemplata una replica alle affermazioni fatte in aula dall'opposizione, le parole di Nordio dovevano chiudere la polemica, non attizzarla, come lui ha ritenuto di fare, sentendosi ingiustificatamente messo sotto accusa da chi non conosce le carte e ha parlato solo con una motivazione ideologica.

Alle le accuse mosse da Nordio alla Cpi, per come ha articolato la richiesta di arresto di Almasri, sono sembrate andare ben al di là della critica, tracimando nella contestazione sferzante e non restando nel distacco dovuto al ruolo. Ovvero: si può criticare, ma ci si deve fermare lì, senza volere dare lezioni, in questo caso di Diritto e procedura, quando la sostanza delle vicenda è reale (un criminale arrestato e rilasciato) e non emarginabile nel recinto delle disquisizione tra giuristi o presunti tali.

Quel che è poi accaduto nelle aule fa parte della routinaria quotidianità, tra urli e invettive, che come sempre sono materia per resoconti giornalistici.
Come le sferzate dell'opposizione e la calda difesa della maggioranza.
Tutto già visto.

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