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Usa: dopo il 2 aprile aumentano le probabilità di recessione

di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel
 
Usa: dopo il 2 aprile aumentano le probabilità di recessione
Prima dell’introduzione delle nuove tariffe commerciali, il mercato del lavoro statunitense era piuttosto solido: dall’inizio dell’anno abbiamo assistito a un rallentamento della crescita dei posti di lavoro (con una media di +150.000 nuove unità al mese), più che sufficiente per mantenere una pressione al ribasso sul tasso di disoccupazione. L’ultimo rapporto sul mercato del lavoro fornisce anche informazioni preziose sul reddito dei consumatori americani: sommando il numero di impiegati con quello di ore lavorate e con i relativi salari, si ottiene una crescita del reddito aggregato intorno al 5% su base annua all’inizio di marzo. Dati positivi, sebbene si comincino a notare alcune crepe nei segmenti a basso reddito, con insolvenze e inadempienze al rialzo.

In questo contesto, però, i dazi rappresentano un forte vento contrario per l’economia, destinato a tradursi in una contrazione dell’1% della crescita. Ad oggi crediamo che, dopo uno shock iniziale, il rallentamento dell’economia innescato dai dazi porterà a un raffreddamento dell’inflazione, con un relativo movimento verso il basso dei tassi d’interesse. Di questo passo, l’amministrazione Trump potrebbe centrare il suo obiettivo di riduzione del deficit commerciale, dal momento che il crollo del reddito dei consumatori potrebbe portare al calo delle importazioni, anche se questo è ciò che solitamente avviene in una fase di recessione, trascinando verso il basso non solo le entrate fiscali ma anche quelle delle famiglie e delle imprese americane. Così che, in fin dei conti, il deficit di bilancio che si voleva risolvere con i dazi sarebbe altrettanto grave.

Già da tempo pensavamo che l’inflazione sarebbe calata e che la crescita si sarebbe indebolita, ma dopo il 2 aprile le probabilità di un ingresso degli Stati Uniti in recessione nei prossimi sei mesi sono salite al 30% rispetto al 15% dello scorso gennaio. Vediamo un parallelo con quanto accaduto nel 2007-2008, quando, seppur con un certo ritardo, l’inflazione trainata dai prezzi di cibo ed energia, decelerò fino a portare la Federal Reserve a tagliare i tassi, per poi impegnarsi in una politica monetaria più aggressiva. Non che quella attuale sia una seconda crisi finanziaria globale, ma riteniamo comunque si tratti di una storia di crescita al ribasso e di difficoltà per aziende e consumatori americani.
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