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Tra incertezze macro e svolte di policy: cosa ci attende nel 2026

di Marco Piersimoni, Co-Head Multi Asset Euro di Pictet Asset Management
 
Tra incertezze macro e svolte di policy: cosa ci attende nel 2026
Negli Stati Uniti a metà novembre è stato trovato l’accordo politico per porre fine al “Government Shutdown”, ovvero la chiusura degli uffici federali in seguito all’impossibilità del Tesoro di pagare i dipendenti pubblici. Durante questo periodo, ci sono stati degli effetti macroeconomici rilevanti, ma le esperienze del passato ci hanno insegnato che nel trimestre successivo l’ammanco di crescita dovrebbe essere recuperato rapidamente. A ormai un mese di distanza permangono ancora diverse incognite: i dati su mercato del lavoro e inflazione sono stati pubblicati, ma solo in questi giorni la comunicazione macroeconomica sta tornando a regime, consentendo una lettura più completa del quadro. Durante lo shutdown si è fatto affidamento ai dati pubblicati dalle istituzioni private, tra cui le indagini di fiducia delle imprese (indice ISM): nel mese di novembre, le survey del settore manifatturiero hanno mostrato un piccolo rallentamento, mentre quelle del settore dei servizi sono rimaste in fase di espansione. L’inflazione (del mese di settembre) è rimasta di fatto stabile e in linea con le attese, ma ancora sopra il target del 2%. In Europa, l’attività industriale ha avuto un discreto recupero, con dati dell’inflazione in linea con le attese ma ancora marginalmente al di sopra dell’obiettivo della BCE. In Cina non arrivano segnali confortanti dal settore immobiliare: i timidi segnali di recupero dei mesi estivi sono stati disattesi, con l’eccesso di capacità che esercita ancora pressione sull’attività e sui prezzi.

Arrivati a fine anno, è utile guardare alle previsioni degli economisti per il 2026. Il consenso vede una crescita USA stabile nel 2026 rispetto al 2025, pari al 2%, e di fatto marginalmente al di sopra del potenziale. Anche per quanto riguarda l’inflazione non dovrebbero esserci grandi scostamenti tra il 2025 ed il 2026. Il Liberation Day ha influito sulle previsioni economiche: in quelle settimane, è prevalsa la retorica stagflattiva, ossia stime di crescita in discesa e stime di inflazione in rialzo, mentre successivamente la gravità di questo shock è stata rivista in modo significativo, con previsioni in miglioramento. In area Euro, sia la crescita che l’inflazione sono attese in riduzione nel 2026 rispetto al 2025: la crescita dovrebbe attestarsi poco sopra l’1%, con l’inflazione al di sotto del target.

Dal punto di vista della politica monetaria, il quadro è variegato. C’è stato un deciso, e per certi versi improvviso, ripensamento in alcune giurisdizioni. In particolare, le dichiarazioni di alcuni membri del board della BCE, come quelle di Isabel Schnabel, si sono distinte per il carattere marcatamente “hawkish”. Questo ha fatto sì che il mercato passasse dal prezzare la possibilità di un ultimo taglio a quella di un rialzo già a partire dal 2026. Vedremo come la presidente Lagarde vorrà articolare la propria discussione nel corso dell’ultimo meeting del 2025, fissato per oggi, giorno precedente al verosimile rialzo da parte della Bank of Japan.

Negli Stati Uniti, la banca centrale americana ha tagliato i tassi come da attese, confermando l’intenzione di un ulteriore taglio nel 2026. Il mercato ha accolto positivamente il programma di acquisto di titoli di Stato a breve termine, i T-bill, per un ammontare complessivo di oltre 500 miliardi di dollari per il 2026. Il Tesoro americano ha da mesi deciso di spostare le emissioni del finanziamento del debito pubblico verso la parte a breve della curva dei rendimenti. Questa combinazione, una monetizzazione de-facto della politica fiscale espansiva, va nella direzione di allentamento delle condizioni finanziarie, fenomeno sempre gradito ai mercati finanziari. Diversamente, alcuni hanno voluto leggere il coordinamento tra politica monetaria e fiscale come non del tutto ortodosso, riportando alla luce i timori di un tentativo di accerchiamento della Fed da parte dell’amministrazione Trump. Un test importante ci sarà a gennaio, quando la Corte Suprema si pronuncerà sul caso di Lisa Cook, membro del board della Fed su cui pende l’istanza di licenziamento da parte del presidente Trump.

I mercati azionari e obbligazionari hanno avuto un comportamento “fisiologico” nel corso del mese di novembre: a fronte di movimenti ribassisti delle borse, si sono viste discese delle curve dei rendimenti, e rialzi sui mercati azionari. Per quanto riguarda nello specifico il settore tecnologico, sono emerse preoccupazioni circa gli investimenti, in particolare sulla circolarità e sulla leva finanziaria di alcune delle società maggiormente capitalizzate, considerazioni che riguardano più la qualità degli utili piuttosto che la quantità degli stessi. Il mercato ha (correttamente) iniziato a discriminare tra le società virtuose e quelle più a rischio per investimenti e tenuta dei margini.

Guardando al 2026, vediamo economie solide e capaci di adattarsi anche a politiche economiche e ad un quadro geopolitico non ideale; le economie emergenti sono in buona salute e le manovre fiscali e monetarie sono ortodosse. D’altro canto, le valutazioni non sono particolarmente attraenti. Si è aperta, nel corso delle sedute più recenti, una finestra per il famoso “broadening” dei mercati azionari: non più solo un ristretto gruppo di azioni, ma un ampliamento a temi e settori per lunghi trimestri dimenticati. I mercati obbligazionari offrono rendimenti sufficienti per poterli considerare all’interno del portafoglio, ma la loro funzione e utilità vanno valutate nell’ambito di ogni specifico portafoglio. Sarà proprio la costruzione di portafoglio un elemento determinante nel nuovo anno.


Le informazioni, opinioni e stime contenute nel presente documento riflettono un’opinione espressa alla data originale di pubblicazione e sono soggette a rischi e incertezze che potrebbero far sì che i risultati reali differiscano in maniera sostanziale da quelli qui presentati.
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