Economia

Tim inciampa improvvisamente in Borsa, la Cassazione riapre il caso sul rimborso da un miliardo di euro

di Luca Andrea
 
Tim inciampa improvvisamente in Borsa, la Cassazione riapre il caso sul rimborso da un miliardo di euro
Ancora un colpo di scena nella lunga battaglia legale tra TIM e lo Stato italiano per la restituzione del canone concessorio del 1998. E il titolo dell’ex monopolista ne paga il prezzo in Borsa: mentre scriviamo, le azioni TIM cedono il 2,50%, attestandosi a 0,3692 euro, dopo aver toccato in mattinata un massimo di 0,4040 euro — livelli che non si vedevano dal febbraio 2022.

La Corte di Cassazione ha infatti deciso di sollevare una questione d’ufficio che rischia di prolungare ulteriormente i tempi del rimborso da quasi un miliardo di euro (528,7 milioni di capitale più rivalutazioni e interessi) stabilito dalla Corte d’Appello di Roma lo scorso aprile. Il motivo? Verificare se Tim, nel contestare una prima decisione sulla competenza territoriale, abbia correttamente scelto la via dell’appello (come fece) oppure se avrebbe dovuto attivare un regolamento di competenza. Il nodo procedurale — tecnico ma non irrilevante — è ora oggetto di approfondimento: la Corte ha concesso 30 giorni a tutte le parti per depositare osservazioni.

L’effetto sui mercati è stato immediato: dopo un brillante +3% nella prima parte della seduta, l’incertezza ha spinto gli investitori a vendere, innescando un ribasso che ha portato il titolo a perdere fino al 3,40%. Nonostante ciò, TIM mostra comunque un progresso del 50% da inizio anno (era a 0,25 euro in gennaio) e un +43% negli ultimi tre mesi, segno di un rinnovato interesse del mercato per la società guidata da Pietro Labriola.

Sul piano giudiziario, resta aperta la querelle con la Presidenza del Consiglio, che ha fatto ricorso alla Suprema Corte contro la sentenza di secondo grado e ha anche chiesto, senza successo, la sospensione dell’esecutività per “ragioni di finanza pubblica”. Secondo l’Avvocatura dello Stato, l’impatto dell’esborso inciderebbe per il 2,8% sulla manovra da 28 miliardi della legge di bilancio 2024. Ma i giudici hanno respinto l’istanza, rilevando che non vi sono prove né di un rischio di danno grave, né di reale sofferenza per le casse statali.
 
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