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Stati Uniti: una lettura approfondita dei segnali dell’inflazione a cura di Anthony Willis
di Anthony Willis, Investment Manager di Columbia Threadneedle Investments

Mentre il dibattito sui dazi resta centrale, questa settimana l’attenzione si è concentrata sui dati economici, nel tentativo di capire se e in che misura le tariffe stiano contribuendo alla risalita dell’inflazione negli Stati Uniti — e quali possano essere le implicazioni per la politica monetaria della Federal Reserve.
I dati economici di questa settimana sono stati caratterizzati dall'aumento dell'inflazione negli Stati Uniti, con un'accelerazione dell'IPC a giugno al 2,7% su base annua. Si tratta di un dato superiore alle attese e in aumento rispetto al 2,4% di maggio. L'inflazione core si è invece attestata al 2,9%, al di sotto delle aspettative per il quinto mese consecutivo. All’interno dei dati, emergono segnali di pressioni al rialzo legate alle tariffe. I prezzi dell’arredamento per la casa sono saliti dell’1% su base mensile, mentre quelli dei giocattoli hanno registrato un aumento dell’1,8%, in accelerazione rispetto al +1,3% di maggio. Particolarmente significativo l’incremento dei prezzi degli elettrodomestici, che hanno segnato il rialzo mensile più marcato con un +1,9%.Questi dati indicano certamente che le tariffe iniziano ad avere un impatto sui dati complessivi, anche se ciò è compensato dal calo dei costi degli alloggi, che hanno un impatto significativo sull'IPC di base, dato che la componente "alloggio" nel paniere dell'IPC ha una ponderazione di quasi il 40%.
Sebbene l'inflazione statunitense rimanga relativamente moderata, sembra che si stia assestando al di sopra dell'obiettivo del 2% fissato dalla Federal Reserve e i rischi a breve termine rimangono al rialzo. Per ora, le aziende statunitensi stanno attutendo l'impatto sui consumatori e molte di loro hanno dichiarato di voler attendere di vedere dove si assesteranno i livelli delle tariffe prima di prendere in considerazione un aumento dei prezzi. Le aziende hanno una certa flessibilità in questo senso, grazie alle importazioni accumulate in precedenza. Tuttavia, una volta esaurite queste scorte, i costi più elevati dovranno essere trasferiti. Altrimenti, i margini delle aziende ne saranno negativamente influenzati.
Per il momento, i dati spingono la Federal Reserve a mantenere un atteggiamento attendista ("wait and see") in vista dei prossimi dati sull’inflazione di luglio e agosto, che precederanno la riunione sui tassi del 17 settembre. Entro quella data, la Fed potrà contare su maggiori evidenze riguardo all’impatto delle tariffe sull’inflazione e su ulteriori segnali dal mercato del lavoro, che continua a mostrare segni di rallentamento. L'inflazione potrebbe avvicinarsi al 3%, ma, considerando il suo duplice mandato, la Fed potrebbe ancora sentire la necessità di ridurre i tassi di interesse nel corso dell'anno.
Il presidente Trump ha nuovamente invocato tagli consistenti dei tassi di interesse, suggerendo che il tasso di interesse statunitense dovrebbe avvicinarsi all'1%, citando un'inflazione molto bassa. Trump ha suggerito che ciò consentirebbe di risparmiare mille miliardi di dollari all'anno sui costi del debito.
La scorsa settimana, i mercati hanno reagito con un’improvvisa volatilità nel giro di un’ora, in seguito alla notizia secondo cui Donald Trump avrebbe discusso con esponenti repubblicani del Congresso la possibilità di licenziare Jerome Powell. Uno di loro ha persino dichiarato sui social che la rimozione del presidente della Fed era "imminente". Un'ora dopo la diffusione della notizia, che ha provocato un'impennata dei rendimenti e un crollo del dollaro, Trump ha dichiarato ai giornalisti alla Casa Bianca che era "altamente improbabile" che licenziasse immediatamente il presidente della Fed, ma non ha escluso questa possibilità. Trump ha dichiarato di non avere al momento intenzione di intraprendere alcuna azione, pur non escludendo completamente alcuna possibilità. Ha però aggiunto che ritiene altamente improbabile un intervento a meno che non emergano prove di frode, affermando che non si può escludere del tutto che tale frode sia avvenuta. Si tratta di un riferimento allo "scandalo" sollevato da alcuni repubblicani riguardo all'aumento dei costi di ristrutturazione dell'edificio della Federal Reserve a Washington.
È chiaro che Trump auspichi la partenza di Powell, ma mostri esitazione nel procedere al suo licenziamento. Il gioco politico prosegue, tuttavia qualsiasi percezione di un indebolimento dell’indipendenza della Federal Reserve potrebbe avere ripercussioni negative sui mercati obbligazionari e sul dollaro. I titoli azionari potrebbero in definitiva beneficiare di un eventuale taglio dei tassi sotto la guida di un presidente della Fed più allineato a Trump. È infatti probabile che il prossimo anno venga nominato un nuovo presidente della Federal Reserve, inevitabilmente più favorevole alle posizioni di Trump.Per ora, i mercati dei futures prevedono poco meno di due tagli dei tassi, per un totale di 43 punti base, per quest'anno. Fino ad aprile, i mercati prevedevano un taglio dei tassi di 100 punti base per quest'anno. Le aspettative sul percorso dei tassi si sono quindi spostate e potremmo trovarci in una situazione di attesa, finché non avremo prove più conclusive sull'impatto dei dazi sui dati dell'IPC.
L'aliquota tariffaria effettiva degli Stati Uniti, ovvero l'aliquota media applicata alle importazioni, è variata quest'anno tra il 2,5% e il 26,5%, dopo decenni trascorsi al di sotto del 5%. L'evoluzione di questa ampia scala e le eventuali ritorsioni che ne deriveranno avranno un ruolo significativo nel determinare l'impatto sull'economia statunitense e l'andamento futuro dei tassi di interesse.