Con 78 voti favorevoli e 52 contrari, il Senato ha dato il via libera definitivo alla delega al governo per introdurre il salario minimo in Italia. Un passo che segna la conclusione di un dibattito politico durato mesi, ma che, al tempo stesso, apre una nuova fase di incertezza: quella dei decreti attuativi che dovranno definire i dettagli di una misura cruciale per milioni di lavoratori.
Il ddl approvato, che trasforma la proposta di legge originaria delle opposizioni in una delega per l’esecutivo, segna un compromesso politico che ha suscitato reazioni contrastanti. L'obiettivo iniziale, promosso congiuntamente da M5S, PD, Alleanza Verdi e Sinistra, e Azione, era l'introduzione diretta di una soglia salariale minima di 9 euro lordi l'ora. Un'iniziativa nata per contrastare il fenomeno dei "lavoratori poveri" e le "paghe da fame" che affliggono circa quattro milioni di persone nel Paese.
La maggioranza ha difeso la scelta della delega, sostenendo che sia il metodo più efficace per procedere, permettendo al governo di armonizzare la misura con il sistema di contrattazione collettiva esistente. La senatrice di Forza Italia, Daniela Ternullo, ha sottolineato come la legge "tocca il cuore stesso del nostro vivere civile" e ribadisce un principio di dignità per ogni lavoratore. "Certo, molto dipenderà dai decreti attuativi, ma la direzione intrapresa è quella giusta", ha dichiarato.
Tuttavia, le opposizioni non hanno nascosto la loro delusione. Orfeo Mazzella, senatore del Movimento 5 Stelle, ha definito il provvedimento una "legge truffa" e uno "strumento di propaganda totalmente privo di effetti". Per l'opposizione, la delega rappresenta un rinvio strategico, utile solo per la campagna elettorale ma inutile per risolvere il problema delle retribuzioni basse. "Abbiamo perso l’opportunità di dare subito un aumento in busta paga a milioni di persone", ha affermato Mazzella, evidenziando la distanza tra le intenzioni della proposta originaria e il testo approvato.
Anche i sindacati hanno espresso delle perplessità. Vera Buonomo, segretaria confederale della Uil, ha dichiarato che la delega "non è la risposta che le lavoratrici e i lavoratori attendevano". La Uil sostiene che la priorità dovrebbe essere il rafforzamento della contrattazione collettiva e il contrasto al "dumping contrattuale", un fenomeno in cui le aziende applicano contratti meno tutelanti per risparmiare sui costi del lavoro.
“Con la delega al Governo in materia di retribuzioni e contratti collettivi approvata dal Senato si apre una nuova stagione per le relazioni industriali del nostro Paese. Al di là della divergenza di opinioni sulla introduzione di un salario minimo per legge e sulla tenuta del nostro sistema di relazioni industriali in assenza di una legge sulla rappresentanza, si registra l’impegno delle istituzioni ad incrementare la trasparenza in materia di dinamiche salariali e contrattuali, tanto a livello nazionale che decentrato e con attenzione alle specificità di ciascun settore, così da contrastare fenomeni di dumping contrattuale, l’evasione contrattuale e contributiva e forme di concorrenza sleale, che è obiettivo comune di tutte le principali forze politiche e sociali. Il Governo è ora delegato ad adottare tutte le misure necessarie per la trasparenza dei trattamenti retributivi, sviluppando procedure di informazione pubblica che diano puntuale conto delle previsioni contrattuali. L’Archivio nazionale dei contratti di lavoro diventa inevitabilmente il perno di questa operazione, che trova il CNEL pronto grazie anche alla recente riorganizzazione della base informativa, così da dare piena e corretta informazione al mercato dei contenuti dei testi contrattuali e del loro impatto in termini di applicazione su imprese e lavoratori”. Così in una nota il presidente del CNEL Renato Brunetta.
Con l'approvazione della delega, la palla passa ora al governo, che ha il compito di emanare i decreti legislativi necessari per dare concretezza alla legge. La delega stabilisce una serie di principi e criteri a cui l’esecutivo dovrà attenersi, ma lascia ampia discrezionalità sui dettagli operativi. I principali punti da definire riguarderanno:
Sebbene il dibattito si sia focalizzato sulla cifra di 9 euro, il governo potrebbe decidere di stabilire una soglia differente o di legarla all’andamento dell'inflazione o ad altri indicatori economici. Il governo dovrà trovare un equilibrio tra la nuova soglia minima e le retribuzioni già stabilite dai contratti nazionali, evitando sovrapposizioni o effetti negativi sulla contrattazione.
La delega potrebbe specificare quali settori o categorie di lavoratori saranno i primi a beneficiare del salario minimo, escludendo, ad esempio, i contratti di apprendistato o stage. Non è ancora chiaro quando i decreti entreranno in vigore e se l'introduzione della misura sarà graduale.
Il dibattito sul salario minimo in Italia si inserisce in un contesto europeo dove molti Paesi hanno già adottato una legislazione simile, o stanno seguendo l'esempio dell'Italia, incoraggiati anche dalla recente Direttiva europea del 2022 che mira a garantire salari minimi adeguati in tutta l'Unione Europea.
Mentre l'Italia si prepara a questo nuovo capitolo legislativo, le speranze e le incertezze dei lavoratori si concentrano ora sulle scelte che il governo compirà nei prossimi mesi, sperando che la dignità del lavoro, tanto invocata, trovi finalmente una tutela concreta.