La Commissione Europea ha pubblicato pochi giorni fa la proposta di revisione della Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), con l’obiettivo dichiarato di semplificare il quadro normativo, aumentare la comparabilità delle informazioni e introdurre un nuovo sistema di classificazione dei prodotti finanziari. Una riforma che segna una svolta significativa rispetto agli Articoli 8 e 9, che il mercato aveva ampiamente utilizzato come etichette di sostenibilità, pur essendo stati concepiti dal Regolatore come schemi di disclosure.
La revisione introduce tre categorie in cui al momento permangono ampi margini di flessibilità – Sustainable, Transition ed ESG Basics – e rimuove vari obblighi percepiti come onerosi, tra cui la rendicontazione dei Principal Adverse Impacts (PAI) a livello di entità.
Addio ai PAI obbligatori: semplificazione o passo indietro?
Il reporting PAI ha rappresentato un primo passo verso il monitoraggio sistematico degli impatti negativi degli investimenti. Pur con limiti metodologici e dati spesso imperfetti, ha forzato gli operatori a costruire processi interni più strutturati. La sua abolizione rappresenta quindi un arretramento in termini di trasparenza e accountability, anche se è innegabile che il processo fosse gravoso e scarsamente fruibile per gli stakeholder esterni.
Un potenziale conflitto normativo
Le tre nuove categorie segnano un cambio di paradigma e risultano più aderenti a come gli investitori selezionano effettivamente i fondi.
Appare aprirsi un disallineamento comparando le nuove classificazioni con le linee guida ESMA sui nomi dei fondi: la categoria ESG Basics di SFDR richiede esclusioni allineate ai Climate Transition Benchmarks (CTB), meno stringenti dei Paris-Aligned Benchmarks (PAB) richiesti oggi da ESMA per i fondi che usano il termine “ESG”. Il risultato è un potenziale conflitto normativo.
A nostro avviso, dovrebbe prevalere l’impostazione SFDR, più coerente con la logica del nuovo sistema e più facilmente applicabile.
Cos’è un “investimento sostenibile”?
La proposta elimina la definizione di “investimento sostenibile”, che negli anni ha generato divergenze interpretative tra gli asset manager. Tuttavia, il Regolatore definisce la categoria Sustainable come in: “Prodotti che contribuiscono a obiettivi di sostenibilità ambientale o sociale investendo in società o progetti che già rispettano standard di sostenibilità elevati”. Solo con la pubblicazione dei nuovi template di prodotto sarà possibile valutare il reale livello di rigore. La complessità di definire cosa sia sostenibile a livello di strategia di fondo non scomparirà ed è improbabile che la revisione elimini del tutto le ambiguità.
MiFID: un sistema da ricostruire
La Commissione propone una drastica semplificazione delle disclosure di prodotto, limitandole a dati disponibili, comparabili e veramente significativi.
Da un lato questo ridurrà gli oneri per gli operatori, dall’altro sembra indirizzare il mercato verso un’intera riscrittura dell’impianto MiFID sulle preferenze di sostenibilità.
I tre pilastri attuali (quota di investimenti sostenibili, percentuale di allineamento alla Tassonomia, considerazione dei PAI) diventano potenzialmente obsoleti se le rispettive disclosure non sono più obbligatorie o mancano definizioni puntuali. Distribuire prodotti in linea con le preferenze dei clienti richiederà la costruzione di un nuovo questionario MiFID e andranno sviluppati nuovi sistemi di mappatura dei prodotti.
Cosa cambia per le gestioni patrimoniali e l’utilizzo dei dati
Il servizio di gestione patrimoniale non rientrerà nell’ambito delle nuove categorie di prodotto introdotte da SFDR 2 e, di conseguenza, non potrà essere classificato come Articolo 7, 8 o 9. La normativa riserva infatti tali categorie esclusivamente agli strumenti finanziari caratterizzati da una strategia formalizzata e destinati alla distribuzione.
Parallelamente, SFDR 2 introdurrà requisiti più stringenti in materia di utilizzo dei dati. Con l’obiettivo di migliorare la trasparenza sulla provenienza dei dati, rafforzare la qualità delle informazioni utilizzate e ridurre il rischio di fare affidamento su dataset non verificati o non adeguatamente controllati, la normativa imporrà la formalizzazione e documentazione degli accordi sull’impiego di informazioni provenienti da fornitori esterni, con l’unica eccezione dei dati open-source. Questa evoluzione normativa è inoltre coerente con il quadro regolamentare che sará attivo dal prossimo anno per i provider di rating ESG.
Che cosa significa tutto questo per il mercato?
La revisione potrebbe ridurre parte della complessità introdotta negli ultimi anni, ma rischia anche di creare un periodo di forte incertezza operativa. In particolare:
le linee guida ESMA e la nuova SFDR potrebbero risultare incoerenti;
i PAI più soggettivi portano a una minore confrontabilità tra i fondi;
MiFID II dovrà essere potenzialmente ripensata;
la definizione di categoria di prodotto “Sostenibile” rischia di restare aperta a interpretazioni diverse come in precedenza.
In questo quadro di cambiamento, la capacità di valutare non solo i portafogli ma anche la coerenza delle strategie e dei processi di gestione diventa essenziale per comprendere come i prodotti si posizionano rispetto alle nuove categorie e per riconoscere eventuali criticità, inclusi i rischi di greenwashing.
La necessità di verifiche più puntuali sulle metodologie adottate dai gestori e sull’allineamento alle norme esistenti è destinata a crescere man mano che il mercato si adatterà al nuovo impianto regolamentare.