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Risk Off o Opportunità? Come i Mercati Reagiscono agli Shock

Il tema dominante della settimana è sicuramente il riaccendersi del conflitto tra Iran e Israele. I raid aerei israeliani su infrastrutture nucleari ed energetiche iraniane e le conseguenti risposte con droni e missili da parte di Teheran hanno riportato l’instabilità in Medio Oriente al centro delle preoccupazioni degli investitori. Sembrava che i mercati stessero aspettando una sorta di risoluzione del conflitto, ma nel fine settimana, il bombardamento di tre siti nucleari in Iran da parte degli Stati Uniti ha reso tale risoluzione ancora più incerta, riportando gli operatori di mercato in modalità risk off in attesa degli eventi.
L’attenzione del mercato si concentrerà sullo Stretto di Hormuz, da cui passa ogni giorno circa il 20% del petrolio mondiale. Un'escalation più intensa probabilmente si tradurrà in un aumento a breve termine di petrolio, tassi, dollari e accenni di "stagflazione" sui media, il che non può certo aiutare le azioni. Una minore escalation o una risoluzione probabilmente significheranno l'opposto.
Sebbene non molto accentuata, la reazione del mercato al conflitto Iran-Israele sta seguendo un modello familiare nel comportamento del mercato durante gli shock geopolitici che tipicamente prevede tre fasi. Una prima fase di rapida rivalutazione del rischio (il così detto risk off dove si vende di tutto), una seconda che vede gli investitori riallocare i capitali spostandosi verso settori difensivi, ed infine una successiva stabilizzazione finale, con la ricalibrazione delle aspettative da parte degli investitori.
Guardando alle precedenti tensioni geopolitiche o avvenimenti storici avvenuti a partire dal 1940, le statistiche ci dicono che in media dopo già 3 mesi dall’inizio dell’evento, gli indici si sono già riallineati all’andamento ed alle performance medie storiche.
Ciò che è più importante che gli investitori comprendano è che i mercati tendono a scontare rapidamente il rischio geopolitico, soprattutto quando vengono prese di mira le catene di approvvigionamento energetico o le infrastrutture critiche. Mentre eventi geopolitici come l'ultimo conflitto Iran-Israele si verificano, gli investitori si concentrano sui peggiori esiti possibili. Tuttavia, è fondamentale fare un passo indietro e osservare come i mercati hanno reagito nel corso della storia a tali eventi.
E quello che la storia ci insegna è che gli shock geopolitici di questo tipo tendono a innescare movimenti di breve termine, seguiti da una graduale stabilizzazione. È successo in passato durante la guerra del Kippur, la rivoluzione iraniana del ’79, il conflitto del Golfo, e anche in crisi più recenti come quelle del 2006 e del 2014. Inizialmente il mercato sconta il peggio, ma quando il perimetro del rischio diventa più chiaro, le opportunità tornano ad affacciarsi ed il mercato viene ricomprato dagli investitori.
L’elemento chiave è che oggi i mercati arrivavano a questo appuntamento geopolitico con valutazioni non certo regalate. I principali indici azionari avevano registrato uno dei migliori rally a due mesi della storia recente, con l’S&P 500 in rialzo di oltre il 20%.
In un contesto del genere, ogni evento negativo può diventare catalizzatore per una correzione tecnica, e il conflitto in Medio Oriente ha fornito il pretesto. Non sorprende, quindi, se nei prossimi giorni assisteremo a una fase di consolidamento.
Oltre le tensioni geopolitiche, un altro evento molto atteso che ha catalizzato l’attenzione degli investitori è stata la Federal Reserve. La banca centrale americana ha lasciato i tassi invariati come da attese, e ha confermato l’intenzione di effettuare due tagli entro fine anno.
Ma le incertezze anche all’interno del FOMC aumentano: rispetto a marzo, sono saliti infatti da quattro a sette i membri che non vedono alcun taglio nel 2025. Il presidente Powell, nel consueto tono misurato, ha sottolineato che la politica monetaria resta “ben posizionata per attendere”, anche alla luce degli effetti ancora incerti dei dazi e delle tensioni geopolitiche.
Interessante anche la parte politica: durante la riunione della FED, Donald Trump ha definito Powell “stupido” e si è chiesto ironicamente se potesse nominarsi da solo presidente della banca centrale. Uno scenario surreale, ma che ci ricorda quanto l’orizzonte politico USA stia diventando una variabile sempre più rilevante per i mercati.
Riguardo ai dazi, la Fed ha segnalato che non si è ancora visto il pieno impatto sui prezzi al consumo. La trasmissione degli effetti lungo la filiera richiede tempo, e solo nei prossimi mesi potremo valutare l’effettiva pressione inflattiva. Intanto, le proiezioni macro sono state riviste: crescita del PIL all’1,4% (dal 2,1% di dicembre) e inflazione al 3% (in salita rispetto al 2,7%).
In attesa di metà luglio, data dell’inizio della nuova reporting season per il secondo trimestre, che potrebbe aiutare il mercato a chiarire i reali effetti dei dazi sulle aziende, facciamo un’ultima riflessione sull’andamento degli utili globali. Mentre negli USA, da inizio anno, si sono riviste a ribasso le stime sugli utili a causa dei dazi, i mercati sviluppati extra-USA stanno vivendo un’inaspettata revisione al rialzo delle aspettative sugli utili.
Complice la debolezza del dollaro e il forte differenziale di valutazione (21x l’S&P 500 contro 15x il resto del mondo), potremmo continuare a vedere una fase di convergenza tra mercati. Questo è esattamente in linea con quanto emerso nell’ultima Fund management survey di bank of America in cui ben il 54% degli intervistati ha dichiarato di aspettarsi le azioni internazionali come una delle migliori asset class nei prossimi 5 anni.
In sintesi, ci muoviamo in uno scenario dominato da variabili complesse e caratterizzate da grande incertezza come escalation militari, riallocazione delle catene produttive, tensioni valutarie, mosse della Fed e nuove tendenze nei flussi globali. Nonostante questo i mercati sono oggi tornati a valutazioni generose. Sarebbe eccessivo considerare le attuali valutazioni come prezzate per la perfezione, ma di certo possiamo affermare che non lascino molto spazio ad eventuali disattese. Basti pensare che sempre secondo la Fund Management Survey il 66% dei gestori intervistati ha dichiarato di aspettarsi un soft landing dell’economia globale, e anche da questo punto di vista la nuova reporting season potrà aiutarci a capire meglio gli effetti delle complesse dinamiche sugli utili aziendali.