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Perché "il Regno Unito è caro" anche dopo la Brexit?

di Rebecca Fabiani
 
Perché 'il Regno Unito è caro' anche dopo la Brexit?

Era il 2020 quando giornali e programmi televisivi annunciavano l’uscita del Regno Unito, ovvero Irlanda del Nord e Gran Bretagna, dall’Unione Europea e all’epoca tale mossa sembrava essere un disastro annunciato. Eppure, passati ormai 5 anni, è possibile affermare che ad oggi il Regno Unito, nonostante le ingenti perdite, resta una grande potenza.

Da anni gli osservatori internazionali monitorano con attenzione l’andamento della sterlina temendo un suo indebolimento, eppure quest’ultima sembra mantenere un’incredibile resilienza. La sterlina è considerata una delle valute più solide nel panorama globale grazie alla sua storia centenaria che, all’interno di questo articolo, andremo a ripercorrere.

Adottata nel Regno Unito, nei territori d’oltremare britannici e dalle dipendenze della corona, la sterlina britannica pone le sue origini nel lontano 1694 ottenendo il primato come valuta più antica ancora in circolazione. La fiducia degli investitori è perciò influenzata non solo da componenti macroeconomiche, ma anche e soprattutto dalla stabilità che la sterlina ha dimostrato nei secoli. Londra, capitale dell’Inghilterra, rappresenta uno dei principali centri finanziaria mondiali nel quale convergono scambi internazionali, mercati di cambio e prodotti finanziari elaborati.

Al contrario della Banca Centrale Europea, la Banca d’Inghilterra gode di un’ottima reputazione consolidata per la gestione indipendente della politica monetaria. Tale indipendenza, insieme ad un quadro normativo stabile e ad istituzioni solide, rende il clima britannico ideale per diffondere fiducia in aziende e singoli investitori che continuano ad utilizzare la sterlina come fondo di valore e mezzo per le transazioni.

Il 23 giugno 2016 ha rappresentato un giorno memorabile per la storia britannica, in quanto i cittadini del Regno Unito sono stati chiamati a votare a favore o contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Il referendum, che diete inizio ad un lungo processo denominato Brexit (british-exit), vide il 51,9% dei voti a favore dell’uscita. I motivi che spinsero il governo inglese verso questo referendum furono diversi, tra cui divergenze rispetto a contributi da dover versare all’Unione Europea e il tema molto delicato dell’immigrazione da parte dei cittadini europei verso il Regno Unito.

Il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha formalmente avviato il processo attraverso l’invio della lettera di notifica prevista dall’articolo 50 del trattato sull’Unione Europea. Alla lettera seguirono rinvii, bocciature, negoziazioni e modifiche fino ad arrivare alla data dell’ultimo giorno di permanenza del Regno Unito nell’UE: il 31 gennaio 2020. Da allora il Regno Unito divenne non più membro bensì partner all’interno di un accordo di libero scambio internazionale che non prevedeva l’applicazione di dazi ma obblighi doganali.

Le conseguenze allora previste sarebbero state molteplici; in primis l’Irlanda del Nord e la Scozia fortemente contrarie all’uscita avrebbero potuto portare avanti la loro opposizione, in secondo luogo le imprese avrebbero potuto optare per una delocalizzazione in stati meno restrittivi ed infine le possibili implicazioni economico finanziarie negative.
 
Nei primi anni post-voto alcuni timori trovarono riscontro positivo: la sterlina subì una svalutazione molto significativa che ebbe conseguenze sulla fiducia nei mercati, sul rapporto tra importazioni ed esportazioni, sulla stabilità politica e sui prezzi. Ad un lustro di distanza, la Brexit ha avuto un bilancio completamente negativo. I costi di gestione dell’uscita si agirano intorno ai 30 miliardi di sterline, ai quali si aggiungono 27 miliardi di sterline di perdita dovuta alle minori esportazioni ed inoltre la migrazione netta post-uscita è aumentata di 2,3 milioni di individui mentre allo stesso tempo gli studenti UE nelle università del Regno Unito sono diminuiti di un terzo.

Nonostante queste complicazioni però, il governo inglese ha sempre saputo reagire prontamente per cercare di stabilizzare nuovamente la situazione politico-economica. Grazie alla sua politica monetaria molto sensibile, il Regno Unito ha saputo modulare i tassi di interesse della Banca d’Inghilterra in modo tempestivo ed efficace per controllare l’inflazione e sostenere una crescita. Questo approccio ha permesso alla sterlina di assorbire le oscillazioni del mercato dei cambi e di continuare ad attrarre capitali stranieri.

Secondo un sondaggio condotto dalla BBC, i giovani che nel 2016 non avevano potuto esprimere il loro voto a causa della loro età, avrebbero potuto ribaltare la situazione favorendo la non uscita. Inoltre, secondo YouGov, ad oggi solo il 30% della popolazione britannica risulterebbe a favore della brexit e il 75% dei giovani tra i 18 e i 24 anni si ritiene contrario.


 
Malgrado però le numerose conseguenze, le previsioni più catastrofiche non hanno avuto piena realizzazione. La sterlina, seppur attraversando notevoli periodi di volatilità, ha dimostrato una capacità di recupero inimmaginabile nel 2016. La stabilità e fiducia britannica continuano a sostenere il valore della valuta in un contesto internazionale caratterizzato da instabilità geopolitica e tensioni economiche. La sterlina, simbolo della storia e tradizione britannica, resta oggi testimonianza della capacità del Regno Unito di reinventarsi mantenendo il proprio ruolo di potenza economica, anche e forse soprattutto, al di fuori dell’Europa.

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