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Pharus: 2026, l’anno che mette alla prova le aspettative

 
Pharus: 2026, l’anno che mette alla prova le aspettative
La settimana si è chiusa con un rimbalzo che, almeno in superficie, ha restituito un po’ di fiducia ai mercati dopo giorni complessi. 

Un dato sull’inflazione statunitense più debole delle attese ha riacceso le aspettative di ulteriori tagli dei tassi da parte della Federal Reserve, favorendo un recupero deciso soprattutto nel comparto tecnologico. Il messaggio che il mercato ha voluto leggere è chiaro: la disinflazione sembra più solida del previsto, anche in presenza di un mercato del lavoro che sta lentamente perdendo slancio.

Ed è proprio questa combinazione – inflazione in rallentamento e occupazione che si raffredda senza collassare – a rendere il quadro particolarmente delicato. Le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione restano su livelli storicamente contenuti, segno che non siamo di fronte a un’ondata di licenziamenti. Allo stesso tempo, le richieste continuative sono in aumento, suggerendo che per chi esce dal mercato del lavoro diventa più difficile rientrare rapidamente. È una dinamica coerente con un’economia che rallenta gradualmente, e che spiega perché la Fed oggi sembri più attenta al rischio occupazionale che a quello inflazionistico.

Tuttavia, anche la lettura dei dati macro richiede prudenza. Dopo la chiusura del governo federale, la qualità delle statistiche è tornata sotto osservazione, e lo stesso Bureau of Labor Statistics ha segnalato possibili distorsioni nella raccolta dei dati sull’inflazione. Parte del rallentamento dei prezzi potrebbe essere stato amplificato da fattori tecnici e stagionali, come gli sconti di fine anno. Questo non invalida il trend di fondo, ma ci ricorda quanto sia importante non costruire certezze assolute su singole letture mensili di dati macro.

In questo contesto macro meno lineare di quanto appaia, il tema dell’intelligenza artificiale resta centrale, ma con sfumature sempre più complesse. Il rimbalzo dei titoli tecnologici dimostra che l’AI continua a rappresentare il principale motore delle aspettative di crescita. Allo stesso tempo, stanno emergendo segnali di affaticamento nella narrativa più estrema. Il caso Oracle è emblematico: risultati non negativi, ma un deciso aumento degli investimenti in infrastrutture di intelligenza artificiale, finanziati in parte a debito, è bastato a riaccendere i timori su una possibile bolla della spesa AI. 

Anche Nvidia, simbolo assoluto di questo ciclo, è sempre più al centro di una riflessione più matura. Negli ultimi due anni, la capitalizzazione dei Magnificent 7 è raddoppiata, arrivando a rappresentare oltre il 30% dell’intero S&P 500. I multipli restano elevati e sono sostenibili solo se le aspettative su crescita e margini resteranno eccezionali ancora a lungo. Ma proprio quei margini straordinari stanno attirando concorrenza, accelerando una dinamica quasi da “guerra dei troni” tecnologica, in cui i grandi player competono direttamente tra loro e vantaggi competitivi storici iniziano ad assottigliarsi.

Questo aiuta a spiegare un fenomeno che spesso passa inosservato: sotto la superficie del mercato, la leadership si sta lentamente allargando. L’indice S&P 500 equiponderato ha iniziato a sovraperformare quello tradizionale, segnale che una parte del capitale si sta spostando dai titoli più affollati verso aziende con valutazioni più ragionevoli, utili più stabili e minore dipendenza da una singola narrativa. È un movimento tipico delle fasi più mature dei cicli di mercato, quando la selezione torna a contare più dell’entusiasmo.

Tutto questo si innesta su un elemento più profondo, che va oltre i dati macro o le trimestrali: la psicologia degli investitori. Dopo oltre un decennio di mercati salvati sistematicamente da interventi monetari e fiscali, si è radicata l’idea che ogni ribasso sia un’opportunità e che esista sempre una rete di sicurezza pronta a intervenire. È il classico problema dell’azzardo morale. La Fed, con le migliori intenzioni, ha finito per condizionare il comportamento degli investitori, trasformando la prudenza in un costo opportunità e la leva in una scorciatoia apparentemente innocua. Nei lunghi mercati rialzisti nasce quello che qualcuno ha definito il “genio del mercato bull”: la convinzione di essere bravi perché il contesto premia il rischio, non perché le decisioni siano realmente solide.

La storia insegna che è proprio in questi momenti che il rischio viene ignorato. Le valutazioni smettono di contare, almeno finché non tornano a farlo improvvisamente. 

Non si acquistano titoli, ma flussi di cassa futuri, e pagare troppo oggi significa ridurre il rendimento di domani. È una matematica semplice, che però viene spesso messa da parte quando l’euforia prende il sopravvento. La gestione del rischio, in questo scenario, non è un’opzione accessoria ma una condizione di sopravvivenza. Non serve avere sempre ragione; serve evitare di sbagliare in modo irreversibile.

Ed è qui che entra in gioco un aspetto spesso sottovalutato, ma fondamentale: il comportamento degli investitori. Uno degli elementi più difficili dell’investire non è scegliere i titoli giusti, ma mantenere la giusta prospettiva nel tempo. I mercati si muovono per cicli, alternando fasi di euforia a periodi di incertezza, volatilità e paura. In entrambi i casi, la consapevolezza di ciò in cui si è investito è determinante.

Quando i mercati salgono e l’ottimismo è diffuso, il rischio principale è lasciarsi trascinare dall’euforia, dimenticando che i rendimenti passati non sono mai garantiti. È proprio in quei momenti che la disciplina diventa più difficile, ma anche più preziosa. Al contrario, quando i mercati scendono e le notizie diventano negative, il ruolo della guida è ancora più cruciale: aiutare l’investitore a non reagire emotivamente, a non fare esattamente l’opposto di ciò che sarebbe razionale.

La storia mostra con grande chiarezza che molti investitori vendono nei momenti di panico e comprano quando i prezzi sono già elevati. Questo comportamento, ripetuto nel tempo, compromette in modo significativo i risultati di lungo periodo. Le correzioni non sono anomalie da temere, ma parte integrante del processo di creazione di valore. La volatilità, che potremmo vedere almeno nella prima parte del 2026, non è un rischio da eliminare, ma una condizione con cui convivere.

Solo accettando questa realtà è possibile beneficiare davvero della capitalizzazione composta, uno dei motori più potenti della crescita patrimoniale. Ma la capitalizzazione composta funziona solo per chi riesce a restare investito nel tempo, attraversando i cicli con disciplina e razionalità. In questo senso, il vero valore .
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