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Ofi Invest AM: verso gli Stati Uniti, la parola d’ordine è “neutralità”
di Eric Turjeman, Co-CIO for Mutual Funds di Ofi Invest AM

Ad oggi possiamo dire che aprile e maggio sono stati due mesi “trumpeschi”, caratterizzati da annunci, ripensamenti, voltafaccia, minacce di rappresaglie e discorsi più o meno freddi. Tutto ciò, unito alla schizofrenia della politica statunitense, ha innescato oscillazioni dei mercati molto ampie, le quali hanno gettato nella confusione i vari player. In particolare, annunciare dazi su tutti i paesi del mondo per poi decretarne una sospensione appena sette giorni dopo per iniziare a negoziare ha gravato molto sulle aziende e quindi sul comparto azionario, il quale ormai sta solo aspettando il 9 luglio, nella speranza che gli Usa e i suoi partner commerciali raggiungano un accordo prima di allora. Dall’altro lato, tutto ciò ha dato modo all’obbligazionario di riprendersi, dopo che i rendimenti decennali avevano toccato picchi anche del 4,45%.
Con i livelli di incertezza che si sono generati, alcune imprese americane sono arrivate persino a rinunciare a fornire delle linee guida per il resto del 2025, visto che gli allarmi sui profitti si stanno facendo sempre più pressanti, soprattutto per quelle società attive nella produzione di beni di consumo. Ciò potrebbe indicare che anche gli stessi consumatori sono sempre più intenzionati ad assumere posizioni attendiste.
Per citare alcuni nomi, Procter & Gamble, Colgate, Pepsi e Kraft-Heinz[1] hanno espressamente fatto riferimento a uno scenario più sfidante, non solo a causa dei dazi, ma anche di un’inflazione che ci ha sempre accompagnato da quando sono stati rimossi i lockdown della pandemia di Covid-19.
Altre imprese, però, hanno anche dichiarato che intendono continuare ad importare ingenti quantità di prodotti intermedi e finiti, almeno finché i dazi non entreranno in vigore. In questo modo, la capienza dei magazzini dovrebbe consentire loro di non modificare eccessivamente i prezzi attuali fino a quando una qualche forma di accordo non sarà raggiunta.
Nonostante ciò, le maggior parte delle stime dice che nemmeno attuando questo tipo di strategie le compagnie statunitensi usciranno indenni, tanto che la crescita degli utili per il 2025 è stata vista al ribasso a un +7%. Considerando poi che il P/E ratio è attualmente quasi 22 volte il livello degli utili stimato, è evidente come le sfide che il mercato Usa si trova ad affrontare lo stanno rendendo tutt’altro che conveniente.
A fronte delle turbolenze d’oltreoceano, l’azionario europeo ha riguadagnato un po’ di consenso tra gli investitori: lo scenario per le aziende appare stabile, i piani di stimolo dell’Ue (e in particolare della Germania) dovrebbero sostenere la crescita e i gap in termini di performance iniziano a essere significativi, soprattutto grazie al rafforzamento dell’euro, che rispetto ai suoi minimi ha guadagnato quasi il 10%. Tra l'altro, è probabile che il tasso di cambio influisca sulle previsioni di crescita degli utili delle aziende europee, poiché il consenso degli analisti non prevedeva un'oscillazione del genere. Con un P/E di 14 al 2025, lo storico fattore di sconto europeo è svanito, ma siamo ancora lontani dalle valutazioni del mercato statunitense.
In conclusione, visto il rally vissuto dai mercati statunitensi, noi di Ofi Invest AM riteniamo che sia arrivato il momento di ridurre l’esposizione verso questi ultimi. In fondo, sono le aziende stesse a dire che il futuro oggi non è assolutamente prevedibile e, visti i guadagni che sono già stati realizzati, è difficile immaginare qualcosa che possa spingere le performance ancora più su. Ciò è ancora più vero se si pensa che un taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve è uno scenario che sta diventando sempre più probabile.
[1] Queste e le altre società sono nominate solo a titolo di esempio. L’elaborato non è da intendersi in alcun modo come un suggerimento ad acquistare o vendere determinati titoli