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Non è tutto oro quello che NVIDIA

Commento del team di gestione di Pharus
 
Non è tutto oro quello che NVIDIA
La settimana si è aperta con nuovi massimi storici per l’S&P 500 e il Nasdaq, trainati dalla rinnovata forza dei titoli tecnologici. 

Il catalizzatore è stato l’annuncio di un maxi investimento da 100 miliardi di dollari di NVIDIA in OpenAI, destinato a sviluppare almeno 10 gigawatt di data center. La notizia ha riacceso l’entusiasmo sull’intelligenza artificiale, ma nei giorni successivi i mercati hanno rallentato il passo, prendendosi una pausa di consolidamento dopo i nuovi massimi.

Sul fronte macroeconomico, il dato finale sul PIL USA del secondo trimestre è stato rivisto al rialzo al 3,8% annualizzato, superando le attese. 

Una crescita nominale sostenuta, alimentata anche dall'aumento degli investimenti legati all’AI, che nel 2025 stanno contribuendo in modo significativo al GDP. Tuttavia, si avvicina un punto critico: secondo le ultime stime, il capex delle Big Tech su progetti AI ha raggiunto il 72% del cash flow operativo nel secondo trimestre, un livello senza precedenti. 

La transizione da una fase di investimenti finanziati con liquidità a una fase di capex finanziata con debito è attesa nel 2026 (a dire il vero Oracle ha già iniziato). È possibile che sarà quello il momento in cui il mercato inizierà a interrogarsi sulla sostenibilità e sull’effettivo ritorno economico di questi investimenti.

Il contesto di politica monetaria resta in transizione. La Fed ha tagliato i tassi di un quarto di punto la scorsa settimana, portando i Fed Funds verso un’area più neutrale. Secondo l’approccio della Fed, la neutralità si collocherebbe intorno a un tasso reale di +100 punti base rispetto all’inflazione, quindi attorno al 3,75%. Tuttavia la prospettiva di una “Fed post-Powell” che possa favorire forme di repressione finanziaria, con l’obiettivo di ridurre il costo del debito pubblico e mantenere sotto controllo i tassi d’interesse, come già accaduto negli anni '40, è un’ipotesi sempre più discussa tra gli osservatori.

Il mercato dell’oro continua a segnare nuovi massimi storici, con una performance YTD del +40%, la migliore dal 1979. 

La combinazione di inflazione persistente e crescita economica in rallentamento sta spingendo sempre più investitori istituzionali e banche centrali a coprirsi dal rischio sistemico. Anche il prezzo dell’argento è salito ai massimi degli ultimi 14 anni, confermando il ritorno dell’interesse per i beni rifugio.

Sul fronte del lavoro, le richieste di sussidio di disoccupazione in USA sono tornate a 218 mila, meglio delle attese. Un dato positivo che, però, va letto in controluce: eventuali segnali di deterioramento nel mercato del lavoro potrebbero infatti erodere la fiducia sul ciclo, soprattutto se accompagnati da un ritorno dell’inflazione core.

È in arrivo la nuova stagione degli utili del terzo trimestre. Dopo una prima parte dell’anno sorprendentemente positiva con il Q1 e Q2 che hanno battuto le attese grazie a un miglioramento diffuso dei margini, ora gli investitori guardano al Q3 come banco di prova per confermare il momentum sugli utili. Le stime di consenso restano ferme attorno al +7% di crescita dell’utile per azione dell’S&P 500, ma ci si attende un possibile miglioramento con l’inizio della reporting season. 

Un pattern non certo nuovo per la revisione delle stime, che vengono solitamente abbassate dagli analisti nelle settimane che precedono la stagione degli utili, per poi essere battute e quindi riviste a rialzo nelle settimane di reporting.

Particolarmente rilevante in questo terzo trimestre dovrebbe essere il contributo del settore finanziario, che potrebbe sorprendere positivamente grazie alla crescita dei volumi dei prestiti, all’irripidimento della curva e al miglioramento dell’attività di investment banking. In questo contesto, non è un caso che i titoli bancari siano tornati a sovraperformare: l’indice S&P 500 Financials ha segnato nuovi massimi, supportato da dati in crescita sui volumi di credito.

Resta comunque una componente di rischio da non sottovalutare: le valutazioni del mercato azionario USA, e in particolare dei titoli growth, sono tornate a livelli molto elevati rispetto alle medie storiche. Il P/E forward dell’S&P 500 si colloca su livelli comparabili ai picchi precedenti alla bolla dot-com, mentre l’assenza di un premio al rischio significativo implica che eventuali delusioni su guidance o inflazione potrebbero innescare correzioni rapide.

La solita considerazione importante da ricordare è però che i parametri valutativi fondamentali non si prestano a una lettura simmetrica. Quando i multipli raggiungono livelli estremamente bassi, queste fasi tendono a essere brevi e rappresentano spesso opportunità storiche di ingresso, perché il mercato reagisce rapidamente riportando le valutazioni verso la media. Al contrario, quando i multipli si collocano su livelli elevati, la situazione è molto diversa: tali condizioni possono protrarsi a lungo. Un esempio chiaro emerge analizzando il price/earnings in una finestra mobile ventennale: i momenti di estrema sottovalutazione appaiono rari e concentrati, mentre le fasi di sopravvalutazione tendono a durare più a lungo, diventando la norma piuttosto che l’eccezione. In poche parole i multipli possono restare elevati per molto tempo prima di tornare come faranno certamente, verso la media.

Nel suo intervento a Providence, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha osservato – fatto non frequente nei suoi discorsi – che secondo diverse metriche i prezzi azionari appaiono piuttosto elevati. Ha tuttavia precisato che l’attuale contesto non mostra segnali di rischi significativi per la stabilità finanziaria. Il commento ha suscitato qualche perplessità: anche se condivisibile nel merito, quella rassicurazione finale ha attivato un istinto contrarian. Le crisi finanziarie, infatti, spesso si presentano come "Cigni Neri": eventi imprevisti che emergono proprio nei momenti di euforia irrazionale. Il testo richiama a tal proposito le celebri parole di Alan Greenspan nel 1996 sull'"esuberanza irrazionale" e i pericoli di una sopravvalutazione degli asset.

La buona notizia è che il mercato è anche ricco di storie abbandonate e dimenticate, caratterizzate da valutazioni molto interessanti. Il peso del settore minerario ad esempio nel mercato azionario globale è sceso all’1%, il livello più basso in oltre un secolo. Eppure, con la transizione energetica in corso e la domanda strutturale di rame, litio e terre rare, le condizioni per un'inversione di tendenza sembrano sempre più mature. Storicamente, i migliori punti d’ingresso sono avvenuti quando il sentiment era al minimo e la quota di mercato era ai livelli attuali. 

Un discorso analogo lo si potrebbe fare per il settore Farmaceutico e per alcune aree dei consumi non discrezionali come ad esempio il settore del beverage. Tutte aree di mercato dove sicuramente manca momentum, ma potenziali riserve di valore nei portafogli.

Concludendo, restiamo costruttivi ma selettivi. La narrativa dell’AI, il ciclo degli utili e la nuova stance della Fed continuano a sostenere il mercato, ma l’equity USA si muove su livelli di valutazione che richiedono risultati solidi per essere giustificati. Il prossimo trimestre, e in particolare la capacità delle aziende di battere le stime, sarà il vero test per la sostenibilità di questo rally.
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