Nel suo discorso di insediamento come nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha ribadito l’intenzione di “rendere l'America di nuovo grande”, anche a costo di rallentare sulla transizione energetica. Che la strada repubblicana non sia lastricata di intenzioni green è apparso subito chiaro: tra i 100 ordini esecutivi firmati nel primo giorno di presidenza figura il ritiro degli Stati Uniti da importanti accordi internazionali, tra cui l’Accordo di Parigi sul clima, che vincola i suoi firmatari a rendere conto annualmente delle proprie emissioni e a contribuire a finanziare la lotta al cambiamento climatico.
Del resto, il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo in cui la temperatura media globale ha messo a segno un aumento di oltre 1,5 gradi Celsius, il limite che i sottoscrittori dell’Accordo di Parigi si impegnano a non superare. Ma se l’Unione Europea ha avviato un Green Deal che stabilisce una serie di norme per ridurre drasticamente le emissioni e portare l’economia alla neutralità climatica entro il 2050, grazie anche alla conversione verso le fonti rinnovabili, l’avvento di Trump e della “Maganomics” rischia di ostacolare duramente la transizione energetica degli Stati Uniti. Il neopresidente ha anzitutto revocato un ordine esecutivo del 2021 firmato da Joe Biden che aveva l’obiettivo di portare la quota di veicoli elettrici al 50% del totale dei nuovi venduti negli Usa entro il 2030, sostenendo che gli incentivi per l’acquisto di auto elettriche spingano i consumatori verso soluzioni costose e poco convenienti. La decisione ha sollevato le critiche degli operatori del settore, che temono possa rappresentare un freno alla competitività degli Usa nel mercato globale dei veicoli elettrici, proprio mentre Cina ed Europa accelerano sul fronte della transizione energetica.
Con altri ordini esecutivi, Trump ha sospeso temporaneamente l’approvazione federale per nuovi progetti eolici offshore, restringendo l’accesso ai finanziamenti pubblici per questa tecnologia, e ha allentato le restrizioni sulle trivellazioni e sull’estrazione fossile, dichiarando un’emergenza energetica nazionale. Ad ogni modo, anche in assenza dell’appoggio degli Usa, la transizione energetica potrebbe comunque contare sul supporto di Cina (con 546 miliardi di dollari investiti nel 2022) ed Europa (180 miliardi di dollari) e nei prossimi anni le imprese americane potrebbero trovarsi costrette ad allinearsi agli standard ESG globali per mantenersi competitive sui mercati europei. Tuttavia, è innegabile che il passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili verrà rallentato dalle ultime decisioni dell’amministrazione Trump.
Conseguenze per gli investimenti ESG
Le conseguenze per gli investimenti ESG dipendono molto dal tipo di strategia seguita e dagli obiettivi del portafoglio. Bisogna fare una distinzione molto netta tra investimenti in soluzioni legate alla transizione energetica e investimenti socialmente responsabili, che tendono ad escludere aziende o attività economiche controverse e ad integrare i rischi di sostenibilità. I portafogli ESG di Moneyfarm sono investimenti socialmente responsabili che hanno l’obiettivo di generare rendimenti finanziari, investendo tramite ETF in maniera diversificata sui mercati finanziari globali e sulle aziende disponibili sui principali indici, considerando alcuni obiettivi di sostenibilità: la riduzione dell’esposizione ad aziende controverse e dei rischi legati ai fattori di sostenibilità, l’incremento della quota di investimenti sostenibili e l’attivismo del gestore dell’ETF.
Dal momento che aziende con controversie sociali (come violazione dei diritti umani) non dovrebbero essere favorite dalle politiche di Trump, escludiamo che la riduzione dell’esposizione dei nostri portafogli ESG ad esse porti a significative deviazioni di performance. Se è vero che le aziende legate ai combustibili fossili potrebbero vedere una riduzione dei rischi rispetto a un contesto di transizione sostenibile, la loro abilità di sovraperformare dipenderà da numerosi fattori difficilmente prevedibili, come il prezzo delle materie prime. Se, da un lato, la deregolamentazione ambientale beneficerà le aziende più esposte ai combustibili fossili nel breve termine, crediamo che i rischi legati ad altri fattori di sostenibilità (come rischi climatici fisici, tecnologici o reputazionali) non diminuiranno e resterà importante considerarli all’interno delle scelte di investimento.
Riteniamo che, nel lungo periodo, i fattori chiave da considerare per valutare la performance dei portafogli ESG rispetto a quelli classici siano non tanto le nuove politiche Usa sulla sostenibilità, quanto l’andamento dei tassi d’interesse, le politiche monetarie e fiscali, i prezzi delle materie prime, la disoccupazione e l’inflazione. Crediamo ci saranno periodi di sovraperformance e periodi di sottoperformance rispetto alle linee classiche, ma il nostro obiettivo rimane quello di generare rapporti di rischio/rendimento sovrapponibili nel lungo periodo, grazie ad un’attenta diversificazione in termini geografici, settoriali e di asset class.