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L&G: Il fragile equilibrio delle finanze Usa

di Tim Drayson, Head of Economics di L&G
 
L&G: Il fragile equilibrio delle finanze Usa
Recentemente, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha rilasciato il suo aggiornamento mensile sul budget, dal quale appare evidente come siano stati fatti ben pochi progressi sul fronte del taglio del deficit nonostante le entrate generate dai dazi.

Nel mese di luglio, infatti, il deficit federale ammontava a 291 miliardi di dollari; un risultato inferiore alle aspettative e, soprattutto, più ampio di quello rilevato nello stesso mese dello scorso anno, mentre in termini percentuali, oggi il rapporto con il Pil è del 6,4%, in leggero miglioramento rispetto al 7% di inizio 2025.

A generare questo miglioramento ha però già contribuito l’apporto dei dazi, che attualmente ammonta complessivamente all’1,1% del prodotto interno lordo statunitense. Con l’importazione di beni che rappresenta l’11% del Pil del secondo semestre del 2025, si può affermare che l’attuale livello effettivo dei dazi è del 10%, ma la tariffa statica su cui i paesi dell’Unione Europea si sono accordati è del 15%. Vi è anche la possibilità di potenziali dazi su prodotti farmaceutici e semiconduttori, che finora sono stati esclusi e per questo, sebbene potrebbe verificarsi un'ulteriore sostituzione dei beni soggetti a dazi, prevediamo che le entrate tariffarie saliranno a quasi l'1,5% del Pil entro la fine dell'anno.

A questo punto, dato che si parla di elementi che vanno ad aumentare il prezzo di beni e servizi, è necessario chiedersi chi pagherà per questi gettiti di reddito più alti. Fino a oggi, il consumatore medio americano è rimasto quasi indenne, tanto che l’inflazione dovuta ai dazi è salita di appena due o tre decimi di punto. Tuttavia, se si vuole scaricare il peso dei dazi sui paesi esteri è necessario che i prezzi delle merci importate siano abbassati e operazioni in questa direzione, ad oggi, non sembrano essere in programma. Pertanto, l’indiziato numero uno sono i margini aziendali.

È importante ricordare che dati molto importanti per capire l’andamento di un sistema economico, in primis i profitti, sono sempre pubblicati con un certo ritardo; basta pensare che, al momento in cui si scrive, i più recenti coprono solamente il primo trimestre di questo 2025 e quindi non possono avere già scontato l’effetto dei dazi. Tuttavia, se da un lato le entrate fiscali delle società sono diminuite del 6% nell'anno fiscale in corso (fino alla fine di luglio) rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, le società facenti parte dell’S&P500 stanno comunque registrando solidi utili (anche se questo è fortemente sbilanciato verso le grandi aziende tecnologiche). E se fosse il segmento non quotato in borsa a essere più colpito? Questo potrebbe potenzialmente portare a un indebolimento delle assunzioni e degli investimenti in tutta l'economia (a parte l'impennata nel settore dell'intelligenza artificiale).

È improbabile che il bilancio Usa migliori in modo significativo, poiché la spesa in deficit anticipata (pari a quasi l'1% del Pil in termini di costi) prevista dal One Big Beautiful Bill entrerà in vigore nei prossimi mesi e fino al 2026. Un ulteriore aumento delle entrate tariffarie e delle imposte sulle plusvalenze (se i mercati azionari saranno sostenuti) potrebbero contribuire a mantenere il deficit relativamente stabile nel prossimo anno, ma per avere una vera inversione del quadro si richiede che i nuovi tagli fiscali in scadenza non vengano prorogati, che è un’ipotesi abbastanza irrealistica.

I dazi sono diventati essenziali fonti di entrate. Pertanto, qualsiasi futura amministrazione troverà difficile revocarli senza aumentare le tasse o tagliare la spesa. Inoltre, la loro efficacia nel ridurre il deficit commerciale si riduce se quello di bilancio rimane intorno al 6%, poiché questo tende ad attrarre importazioni, originando un doppio deficit.

Con un ampio deficit di bilancio, la riduzione della controparte commerciale richiederebbe un aumento del tasso di risparmio nel settore privato. Ciò probabilmente indebolirebbe la domanda interna, sebbene un rafforzamento delle esportazioni potrebbe essere la soluzione preferibile.

Anche gli impegni di investimento negli Stati Uniti (come parte degli "accordi" commerciali) in teoria rendono più difficile ridurre il deficit commerciale, in quanto sono flussi lordi, spesso su orizzonti temporali non specificati e in alcuni casi potrebbero concludersi come gli accordi cinesi per l'acquisto di prodotti statunitensi nel 2019: mai concretizzati.

Nel complesso, e nonostante i cambiamenti di politica economica e gli obiettivi dichiarati, non prevediamo molti progressi nella ricerca del rigore fiscale statunitense nel prossimo anno. Pertanto, a nostro avviso questo non è un equilibrio sostenibile a lungo termine, con molteplici fattori che possono causarne la rottura.
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