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L’AI vale l’1,2% del PIL USA: opportunità o concentrazione rischiosa?

 
L’AI vale l’1,2% del PIL USA: opportunità o concentrazione rischiosa?
La settimana che abbiamo vissuto ci ha mostrato chiaramente quanto l’umore dei mercati possa cambiare nel giro di poche ore. Arriviamo da un novembre difficile, con l’S&P 500 sceso di oltre il 5% dai massimi e il Nasdaq quasi dell’8% e giovedì è stato emblematico: un’apertura forte, sostenuta dai dati sul lavoro e dal rimbalzo di Nvidia in seguito alla trimestrale, si è rapidamente trasformata in un rosso generalizzato.

Nonostante il nervosismo dei mercati, con la chiusura dello shut down è tornato un elemento essenziale per i mercati stessi, ovvero i dati.

La riapertura del governo USA ha permesso la pubblicazione del report sull’occupazione di settembre, e i numeri – 119 mila nuovi lavoratori ma disoccupazione al 4,4% – raccontano una storia molto più sfumata di quanto il mercato si aspettasse. È un segnale di rallentamento, ma non abbastanza marcato da costringere la Fed a un taglio immediato. E infatti, con i dati di ottobre e novembre che arriveranno dopo il FOMC del 10 dicembre, le probabilità di un taglio sono oggi intorno al 70%, con i verbali della riunione precedente che parlano di “opinioni fortemente divergenti” all`interno del board. È un contesto in cui la politica monetaria naviga senza bussola, con una Fed che per la prima volta da anni deve decidere senza avere i dati completi.

In mezzo a questa incertezza macro, Nvidia ha riportato un trimestre straordinario – crescita dei ricavi oltre il 60%, margini in aumento, backlog ai massimi – eppure il titolo, dopo un’apertura brillante, ha chiuso in negativo. 

Il titolo è passato dall’euforia iniziale al crollo brusco, bruciando oltre 300 miliardi di dollari di capitalizzazione in poche ore. 
 
Le rassicurazioni del CEO sulla “non-bolla AI” non hanno convinto il mercato, complice anche l’avvertimento di Ray Dalio, secondo cui l’AI sarebbe già in bolla all’80%. Il focus degli analisti si è spostato sulla voce “crediti” all`interno del bilancio di Nvidia, che ha registrato 33,4 miliardi di dollari di ricavi a fronte di oltre 51 miliardi di vendite dei data center, sollevando dubbi sui tempi di incasso e sulla solidità della domanda. È un segnale chiarissimo: il mercato oggi non premia più la crescita in sé, ma vuole capire quanto sia sostenibile. Il mercato, oggi, non si accontenta più del “quanto” cresce l’AI, ma vuole capire il “come”. Sono settimane che emergono dubbi sulla sostenibilità finanziaria della corsa ai data center. Gli hyperscaler stanno finanziando la rivoluzione AI in larga parte a debito, con emissioni che non vedevamo da anni. Le aziende più solide – Google, Meta, Microsoft – possono permetterselo; altre, come Oracle, si espongono molto più del dovuto, andando a drenare capacità finanziaria futura pur di non restare indietro.

La verità è che una parte rilevante dell’apparente resilienza dell’economia statunitense oggi non viene dai consumi, né dal manifatturiero, né dall’immobiliare. Viene da una sola voce: la spesa in conto capitale per l’intelligenza artificiale.

I più grandi player del cloud – Microsoft, Google, Meta, Amazon – stanno investendo a ritmi che non avevamo mai visto nella storia moderna.

Le stime vengono continuamente riviste al rialzo: secondo diverse analisi, la spesa globale per infrastrutture AI crescerà del 67% nel 2025 e di un altro 31% nel 2026, raggiungendo oltre 600 miliardi di dollari. Per alcuni di questi colossi, i capex stanno salendo fino al 30% delle vendite annuali: un livello triplo rispetto alle medie storiche. Sono cifre enormi, al punto da avere un impatto macroeconomico significativo.
 
Secondo le stime più recenti, nel 2025 la spesa AI negli Stati Uniti arriverà a valere circa l’1,2% del PIL.

È un numero talmente grande che, se lo sottraiamo, la crescita americana risulta molto più debole. In altre parole: la crescita che oggi osserviamo è reale, ma non è diffusa. È concentrata. Ed è concentrata nelle mani di quattro aziende.

Se guardiamo oltre l’AI, i segnali non sono altrettanto brillanti, gli investimenti residenziali restano compressi dall’inaccessibilità degli immobili; gli investimenti corporate tradizionali, fuori dai big tech, sono modesti; l’occupazione mostra segni di affaticamento; il consumo fuori dalla fascia alta è debole; molte aziende dell’S&P 500 – le “493” – vedono aspettative di utili stagnanti o negative per il 2026.

Di fatto, la crescita è trainata da un’iper-concentrazione di capex molto capital-intensive, basati in larga parte su tecnologie importate, quindi con un moltiplicatore interno più basso di quanto sembri.

Siamo lontani da un ciclo di investimento che si diffonde a cascata nel resto dell’economia, come accadde con le infrastrutture o con il ciclo industriale tradizionale.

Chi investe nell’AI oggi si trova davanti a un paradosso interessante. Da una parte, l'opportunità è enorme e concreta: chipmaker, servizi cloud, hyperscaler e infrastrutture AI potrebbero sovraperformare l’economia per anni. La traiettoria di crescita è reale. Dall’altra, ci sono rischi non banali: forte concentrazione delle fonti di crescita; ritorni economici non ancora pienamente dimostrati; utili futuri molto ottimistici; multipli tirati; potenziale di delusione elevato se la spesa rallenta.

Proprio come nel ’99, quando bastava mettere “.com” nel nome per raccogliere capitali, oggi molte aziende stanno cavalcando l’etichetta “AI” senza avere un modello economico sostenibile.
Ci saranno vincitori enormi. Ma ci saranno anche molti progetti che non vedranno mai ritorni.

Oggi l’investitore deve essere selettivo, disciplinato e consapevole che non tutto ciò che cresce in valore cresce perché crea valore.

Nvidia e la Fed, per quanto sembri strano dirlo in una sola frase, oggi hanno qualcosa in comune: entrambe dipendono dai dati.

La Fed non sa come muoversi perché i dati mancano.

Il settore AI cresce a ritmi mai visti perché i dati – e la capacità di elaborarli – sono diventati la nuova valuta del potere economico. Ma entrambi condividono anche un altro elemento: la fragilità di questa fase del ciclo. Il mercato oggi non sta dicendo che l’AI sia una bolla. Sta dicendo che deve diventare sostenibile, diffusa, produttiva. Che non basta investire: servono ritorni reali, non solo ambizioni.

È in momenti come questi che la disciplina paga. Capire dove ci sono opportunità autentiche e dove invece c’è crescita drogata dai capex. Dove ci sono modelli di business veri e dove, invece, la narrazione corre più veloce dell’esecuzione.
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