Quella appena conclusa doveva essere la settimana dell’ennesimo trionfo per i mercati azionari americani, con l’S&P 500 e il Nasdaq spinti su nuovi massimi grazie a una combinazione di ottimismo macroeconomico, aspettative di tagli dei tassi da parte della Fed, e narrativa positiva sull’intelligenza artificiale. Ma proprio quando la sensazione di compiacenza sembrava generalizzata, è bastato il solito tweet di Trump per riportare bruscamente gli investitori alla realtà, ma andiamo con ordine.
Giovedì 9 ottobre l’S&P500 archivia il trentaduesimo nuovo record del 2025, con i mercati azionari globali, sostenuti in particolare dalla persistente forza del comparto tech ed in particolare dal continuo entusiasmo per gli investimenti nell’intelligenza artificiale che resta Il driver principale dei mercati.
NVIDIA ha annunciato un investimento multimiliardario nella startup xAI di Elon Musk, all’interno di un round da 20 miliardi di dollari per infrastrutture. In parallelo, OpenAI continua ad attrarre capitali e partnership: dopo aver modificato i termini dell’accordo esclusivo con Microsoft, ha attivato collaborazioni anche con Google Cloud, Oracle, AMD e CoreWeave.
Stando ai dati più recenti, OpenAI ha siglato accordi per oltre 1.000 miliardi di dollari in infrastrutture e chip, pur non essendo ancora profittevole. La sua valutazione ha toccato i 500 miliardi, che, se fosse quotata, la renderebbero la 16ª più grande società dello S&P 500.
La spinta sugli investimenti in intelligenza artificiale è imponente, il solo CAPEX aggregato di Microsoft, Amazon, Alphabet e Meta è atteso in crescita da 217 miliardi nel 2024 a oltre 400 miliardi entro il 2026.
Secondo i calcoli di Goldman Sachs, OpenAI avrà bisogno di oltre 115 miliardi di dollari per finanziare i propri progetti, e l’86% di questo fabbisogno dipenderà da capitali esterni. Un’enorme ingegneria finanziaria circolare, in cui gli hyperscaler investono in OpenAI e ne diventano al contempo clienti e fornitori, alimentando una spirale di crescita che potrebbe rallentare bruscamente se anche solo uno di questi anelli si spezzasse.
Ma per il momento, questa macchina continua a macinare risultati e tutto questo entusiasmo si riflette in una marcata espansione dei multipli con il rapporto prezzo utili dell’S&P 500 arrivato a 23x volte gli utili attesi a 12 mesi, il massimo da inizio 2000, mentre il dividend yield è sceso all’1,17%, il minimo dal picco della bolla dotcom.
Si parla sempre più spesso di una possibile bolla legata all’intelligenza artificiale, e abbondano i grafici che mostrano gli indici azionari su livelli valutativi estremi. Tuttavia, la storia insegna che le bolle raramente si formano quando tutti le stanno aspettando. Oggi, infatti, la liquidità parcheggiata nei money market fund è su livelli record, parliamo di una montagna di risparmi pronti a essere reinvestiti in equity non appena si presenterà una correzione significativa.
La combinazione di valutazioni elevate, euforia diffusa e una psicologia di mercato sempre più fragile invita certamente alla prudenza, ma con la consapevolezza che come ricordava Peter Lynch, “sono stati persi più soldi aspettando le correzioni che durante le correzioni stesse”.
E proprio parlando di correzioni, venerdì pomeriggio è arrivato a sorpresa un liberation day 2.0 con un tweet di Donald Trump che ha scosso i mercati. L’ex presidente ha annunciato l’intenzione di introdurre dazi del 100% sulla Cina a partire dal 1° novembre, come risposta alle restrizioni cinesi sulle esportazioni di terre rare. La reazione è stata immediata e le vendite diffuse su tutto il listino, con l’S&P 500 in calo del -3%, il Nasdaq -3,5%. A livello settimanale, l’S&P ha chiuso a -2,4%, con i settori più difensivi come utilities e consumer staples unici a resistere.
Il movimento ha colpito anche il credito, con allargamento degli spread e una discesa del rendimento del Treasury decennale fino al 4,06%. In parallelo, sono tornati a muoversi con forza i beni rifugio, come l’oro e i Treasury, segnalando un chiaro ritorno dell’approccio “risk off”.
Resta l’incertezza sulla natura di questo nuovo capitolo della guerra commerciale, se sia un’escalation vera, oppure solo la solita tattica negoziale, in ogni caso possiamo dire che il risultato è quello di una correzione che a dire il vero sarebbe salutare per i mercati e aiuterebbe il multiplo a rientrare su livelli meno estremi.
Certamente i rischi non mancano. La chiusura del governo USA è entrata nella terza settimana, bloccando la pubblicazione di dati chiave come il report sui Nonfarm Payrolls. L’assenza di nuove statistiche sul lavoro non ha però scalfito l’attesa per un nuovo taglio dei tassi da parte della Fed che il mercato prezza oggi con il 95% di probabilità nella riunione del 29 ottobre, e si aspetta due ulteriori tagli entro fine anno.
L’amministrazione Trump si prepara d’altro canto a svelare il suo vero bazooka economico e sorprendentemente, se ne parla ancora poco, si tratta della deregolamentazione bancaria.
Con la nomina di Bowman alla Fed, torna sul tavolo la riforma del coefficiente di leva finanziaria (SLR), che potrebbe escludere i Treasury dai vincoli di capitale delle grandi banche americane. Questo libererebbe trilioni di dollari di capacità per le banche americane, trasformandole nei principali acquirenti di titoli del Tesoro e rafforzando il mercato obbligazionario domestico. Un cambiamento sostanziale, che renderebbe il mercato obbligazionario americano ancora più solido e domestico.
In questo scenario, la fragilità psicologica degli investitori, le valutazioni estreme e la forte concentrazione dei rendimenti in pochi nomi di alta crescita rendono il mercato vulnerabile. Il volano dell’AI continua a girare, ma dipende da valutazioni elevate e accesso facile ai capitali. Come abbiamo avuto modo di vedere venerdì, basta una crepa in questo meccanismo, un cambio di sentiment, una reporting season sotto le attese, un evento macro inatteso, per trasformare un ciclo virtuoso in una spirale discendente.
Monitorare la sostenibilità di questo ciclo richiederà attenzione, disciplina e una gestione prudente dell’esposizione al rischio. Come sempre, restiamo focalizzati sui fondamentali, mantenendo un approccio selettivo e razionale, evitando le aree di mercato dove persistono oggettive ed elevate valutazioni e dove le aspettative sembrano disancorarsi sempre più dalla realtà.
Per darci un’idea è sbalorditivo il dato che ci evidenzia che il contributo alla crescita del PIL americano nel primo semestre derivante dagli investimenti in infrastrutture AI ha quasi eguagliato la spesa dei consumatori (che storicamente contribuisce per circa il 70% della crescita americana). Un dato che non può non farci porre l’interrogativo sulla sostenibilità e durabilità di questa spinta di crescita che invece il mercato sembra stia sempre più incorporando per le crescite di lungo termine.